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Autobiografia

AUTOBIOGRAFIA (aggiornata il 1 gennaio 2020)

Scrivo questa autobiografia su suggerimento di mia figlia Giulia, la più piccola dei mie tre (gli altri sono Giovanna e Francesco), alla quale ho avuto modo di raccontare un po’ della mia vita. 
Non so se potrà servire ai miei figli e ai miei 6 nipoti Sara, Elsa, Gaia, Samuel, Giorgio e Federico, ma almeno farà loro conoscere un po’ di più del loro padre e nonno, perché sono ciò che sono e sono stato.
Almeno avrò fatto ciò che non hanno fatto mio padre e i miei nonni, che tanto più di me avrebbe potuto tramandare.

N.B. 
Difficile scrivere un diario ex post, e solo oggi mi rendo conto quanto fosse importante il compito di scrivere il diario, che ci diede il mio professore d'italiano di seconda media Giuseppe (detto Peppe) Civitelli, che purtroppo, come ogni compito scolastico, abbandonai appena non più obbligato.
Quindi questo è un testo work in progress, uno scavo archeologico nella memoria di una vita, nel quale le scoperte sono sempre continuative. 
Alcune aree sono più complete, altre volte solo alcuni pezzi sparsi da ricostituire e restaurare. 
Uno scavo nella memoria implementato nel tempo e forse incompleto, in base ai ricordi e al tempo che avrò per scriverli, potrete trovare, qui e là, anche appunti sparsi da sviluppare, e non ultimo, la forma non sempre sarà perfettamente scorrevole e corretta, forse qualche ripetizione, perché si tratta di una stesura all'impronta. 

SONO un rivoluzionario moderato, con la voglia d’impegno, di distinguermi, di essere un diverso, diverso dalla massa, politicamente scorretto, non adeguato ed appiattito su ciò che è abitualmente accettato dalla società. 
Dal pensiero laterale, mi piace sempre guardare l’altro lato della luna..
Attirato dalla semplicità, cerco di capire il mondo gli altri e me stesso.
Vivo come un monaco (uomo solo), asceta, eremita, minimalista, né ricco né famoso ma utile e felice, un po' filosofo, sociologo, antropologo, architetto; lento per nascita e per scelta, vivo viaggio lavoro con lentezza, praticando l'ozio creativo con spirito estetico, etico, mite, creativo. 
Artista Fotografo, meditativo, lento, un po’ filosofo, sono quel che sono e ho capito che è difficile condividerlo con gli altri, e men che mai lo vorrei imporre, anche se, non essendo un’isola, lo faccio mio malgrado. 
Perché ognuno è quel che è, pensa dice e fa quel che ritiene opportuno, l’importante è che nessuno si senta di più o di meno, soprattutto confronto e libertà di parola e pensiero.
Ma da dove proviene tutto ciò.
Probabilmente il mio carattere e modo di essere deriva dalla positivizzazione di un'infanzia e giovinezza passata tra durezze educative, tanti no e desideri conquistati con fatica, e frustrazioni scolastiche, un incidente stradale semimortale.

Nasco romano il 23 settembre 1957 da una famiglia composita nella sua derivazione geografica e culturale. 
Mamma Maria Luisa Borzone de Signorio Sabelli, romana, ma con nonna materna Renata Carapelle, napoletana con addentellati spagnoli (Moriniello); nonno Piero, ligure piemontese nobile, Borzone de Signorio Sabelli, tra Borzonasca dove trovasi l’Abbazia di Sant’Andrea dei Borzone, Genova e Vercelli, con una lunga storia, iniziata nell’anno 1000 e punteggiata di grandi uomini tra cui 5 Papi, tra cui Onorio III che riconobbe la regola Francescana, 11 Cardinali, Principi e condottieri, Senatori di Roma e Signori di Albano, Ariccia, Palombara Sabina, Rignano Flaminio, Castel Gandolfo e altri possedimenti laziali; perfino un santo martire in Sardegna San Gavino; e i pittori Luciano Borzone (Genova 1590-1645) e i figli e allievi Giovanni Battista Borzone, Carlo Borzone e Giovanni Francesco Maria Borzone (Genova 1625-1679), pittore ed astronomo chiamato in Francia nel 1656 ad affrescare il castello di Vincennes (Lagrange); lo zio Luigi Ottavio Borzone de Signorio Sabelli.
Mentre Papà Giovanni ingegnere ed architetto urbanista, nato a Catanzaro da nonna Bianca Rotella, di famiglia borghese catanzarese con palazzetto di proprietà (sito in salita Mazzini, al centro di Catanzaro), con padre professore di scienze, per trent'anni, al locale liceo Galluppi, cugina dell’artista Mimmo Rotella; nonno, mio omonimo, Giuseppe Cocco, nato a Catania - motivo per cui forse, dall’infanzia ho sempre amato l’elefante che di quella città ne è simbolo -, impiegato alle poste, al telegrafo, conosceva a orecchio l’alfabeto morse.

Nato a Roma in via Ignazio Giorgi, zona piazza Bologna.


Le ore d'aria della mia infanzia fuori casa, passavano nell'improbabile giardinetto di piazza Armellini, alle spalle della caserma della Guardia di Finanza; un quadrato sterrato, con poche panchine e qualche albero e, qualche volta, amavo farmi portare da papà a veder passare i treni dal ponte Lanciani.
Da lì nasce la mia passione per i treni e il viaggiare su strada ferrata.

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A 4 anni la mia vita scolastica inizia con l'asilo dalle suore Vincenziane, le cosiddette cappellone per il loro abito usato negli ospedali, a Villa Glori, sotto i Pini di Roma, sul colle che, come scoprirò più tardi dallo studio della storia, era stato campo di battaglia di Garibaldi, mio eroe preferito anche perché Giuseppe come me.
Una specie di colonia, composta di baracche verde di legno, all'esterno dei quali, nei mesi caldi, il pomeriggio, nel dopo pranzo, venivamo obbligati a dormire in una lunga teoria di sedie a sdraio.
Una costrizione che mal sopportavo e durante il quale, non dormendo mai, avevo preso l'abitudine di raccogliere aghi di pino che infilavo tra i denti, facendo volare i pensieri guardando le chiome dei pini.
Lì iniziarono i miei primi scontri tra la mia lentezza e il mondo; al momento del pranzo, una suorina che mi voleva tanto bene, mi si sedeva accanto e con pazienza mi imboccava, non perché non avessi fame, ma perché, quando tutti avevano finito di mangiare, io continuavo a trascinarmi per lungo tempo.
Diventai un buongustaio in età adulta, tanto da dovermi mettere a dieta raggiunti i 95 Kg, ma i miei pasti infantili casalinghi sono continuati nella lentezza, anche 2 ore a pasto, ma a causa di piatti noiosamente ripetitivi ed obbligati.

Oggi mi chiedono come faccia a sopravvivere felicemente alle privazioni e chiusure obbligate in casa da pandemia ed ancor prima.
Un'educazione spartana.
Oggi i ragazzini si siedono a tavola pronti a schifare questo e quello, chiedendo prepotentemente solo ciò che preferiscono, il motto al nostro desco era "questo passa il convento", e guai ad avvicinarsi al frigorifero fuori orario.
Vita in economia, con un solo stipendio paterno di ingegnere al Comune di Roma, costringeva ad essere spartani; a cui si aggiungeva l'iperattività materna che tanto e tutto faceva ma riduceva al minimo ciò che poteva.
Quindi a tavola primo secondo e contorno sì, ma pranzi e cene sempre uguali, pasta con sugo di pomodoro che colorava più che condire, una fettina di carne di formaggio; minestroni con pezzettoni maltagliati di verdure, con costole e foglie filamentose.
Merende con panini al profumo di cioccolata o affettati, tanto che, per ribellione, una mattina in cui, più grandicello, mandato al mare con i miei fratelli, cosa che si ripeteva per 3 mesi all'anno, 20 minuti a piedi di percorso casa mare, all'alimentare sotto casa, mi feci preparare il panino per la merenda con un etto di mortadella.
La merenda era fissata dopo il bagno a mare che si svolgeva alle 12, all'arrivo di mia madre, prima divieto assoluto di toccare l'acqua, rispettato da me e fratelli.
Oggi i bambini, miei nipoti compresi, vengono blanditi contro la possibilità di complessi futuri, io avrei dovuto essere in analisi a vita.
Mia madre mi ha crocchiato di botte, rotto il battipanni di saggina addosso, mandato a scuola con il segno delle 5 dita sulla faccia, e per molto tempo non mi sono piaciuti i passati di verdure perché, quando da piccolo rimettevo, mia madre mi metteva prontamente il piatto sotto per raccogliere il vomito e ridarmelo; più grande, quando mi rifiutavo di mangiare qualcosa mi veniva riproposto nel pasto successivo.
A scuola non andò meglio; alle medie ho avuto 1 professore di matematica, Tani, grande e grosso, panciuto, che minacciava con la sua lunga bacchetta che sbatteva sul porta gesso della lavagna, all'errore; un giorno, dopo la solita interrogazione disastrosa, pensando di farmi domanda gradita, mi chiese "quanti polli sono 30 mezzi polli" e ad ogni risposta inesatta una bacchettata terrorizzante mandava sempre più in tilt il mio cervello.
Ma a proposito di professori di matematica, ne ebbi un altro, Sideri, piccolino, che arrivava in classe con gli occhialoni neri, si sedeva in un banco mandando l'alunno sulla cattedra, faceva chiudere tutte le veneziane, luci spente, cambiava gli occhiali con un paio meno scuro, e mandava uno di noi a prendere un cornetto ed un bicchiere d'acqua.
Schiacciava il cornetto e lo inzuppava nell'acqua.

Tornando alla mia infanzia di primogenito, passò rinchiuso tra le sbarre del box a giocare e piangere fino addormentarmi per lo sfinimento; il che mi abituò alla vita solitaria ma piena d'interessi e attività creative.
Le ore passate obbligato sul vasino, meditabondo.
Oggi si piange per l'infanzia e l'adolescenza obbligata a rinunciare alla libertà causa pandemia, io sono stato in quarantena, chiuso nella stanza, quando ho avuto la varicella, la mia passione adolescenziale, passare le mie giornate chiuso in soffitta a dipingere, leggere ed ascoltare musica; poi ore in camera oscura a sviluppare e stampare i miei scatti in bianco e nero.

Più grandicello, il mio primo film al cinema, assieme alla zia Maddalena, giovane sorella di mamma, Biancaneve e i 7 nani.
Dovrò aspettare i dieci anni per andare nuovamente al cinema con i miei fratelli, al Cucciolo di Ostia, durante le vacanze estive, per la visione del film settemila leghe sotto i mari, che fu l'ultimo fino all'autonomia post adolescenziale.

All'età di 5 anni, dopo la nascita dei fratelli Pietro e Bianca, i miei decidono di aderire ad una cooperativa edilizia, di cui papà sarà il presidente, che ci porterà a cambiare casa,
La costruzione non era ancora abitabile, e, avendo venduto l'abitazione di via Giorgi, dovemmo trovare una situazione intermedia.
Così ci trasferimmo ad Ostia Lido, per la prima volta, prima in una casa in viale Paolo Orlando, accanto al secondo cavalcavia, e successivamente nella casa della zia di mamma, Fatma, sorella della nonna Renata, sita un po' più avanti, in un palazzetto all'angolo tra Viale della Vittoria e Corso Regina Maria Pia.


Vi passammo un paio d'anni e siccome nel 1962 raggiunsi l'età scolare, venni iscritto alla prima elementare nella scuola a km 0, in Viale del Lido, alle spalle del palazzo, al posto della quale, oggi c'è un ufficio del Municipio.
Non ricordo quel primo anno di scuola, non la maestra né i compagni, salvo uno, molto simpatico, grassottello, che si chiamava come me ed era raffreddato tutto l'inverno, con al naso una bolla giallo verde; abitava in una bella palazzina con giardino e pini, al centro in Corso Regina Maria Pia, davanti alla bottega del barbiere Alfredo, dove mamma ci portava all'inizio di ogni estate, per raparci a zero, probabile motivo per cui ho sempre amato portare i capelli lunghi,

2 anni dopo, lasciammo Ostia per andare ad abitare nella zona di campagna, che nel tempo diventerà residenziale intensiva ma molto verde, allora completamente deserta; detta Tre Pini o Rancio Grande, dalla presenza di una fattoria.


Negli anni 1960, la nostra villa era la sola in mezzo alla sconfinata campagna, si trovava in fondo ad una breve discesa, via Ernesto Basile 39/c (nella foto l'edificio grigio in fondo),


confinante altre uniche 3, una a confine con il nostro giardino, detta dei finlandesi per via della famiglia biondissima di origine finlandese che vi abitava; le altre 2, affacciantisi sulla piazzetta in fondo alla discesa, dei persiani e del dottor Capri.
Il nome della mia via, come quelli delle vie di tutto il comprensorio, Rastrelli Giovannoni ecc. destino legato ai miei interessi futuri, appartenevano a grandi architetti ed in particolare Basile, legato al periodo artistico da me preferito, il Liberty. La villa era costituita da 4 piani di 150 mq ciascuno, seminterrato, piano giorno con salone tinello cucina e bagno, piano notte con quattro camere, quella mia condivisa con mio fratello Pietro, quella di mia sorella Bianca e quella dei miei genitori, soffitta sottotetto formata da due ambienti, uno più grande con camino, dove passerò molti pomeriggi adolescenziali (già citata), una stanzetta per ospiti e un terrazzino ricavato nel tetto con lavatoio che, per alcuni anni di austerity, rappresenterà la nostra spiaggia estiva.

Altra esperienza spartana, che mi ha forgiato per vivere oggi con il riscaldamento chiuso durante l'inverno; per un paio d'anni la costruzione in economia, non ha permesso di acquistare una caldaia, e quindi al freddo in inverno che autorizzò me e mio fratello a fare a botte per scaldarci e provocò assopimenti scolastici a causa del caldo e chiamata preoccupata dei mei genitori da parte della maestra Rosa Celeste.
Comunque anche quando l'addormentamento scolastico fu risolto, i miei risultati scolastici non furono mai brillantissimi, e il mio procedere sempre lento.
La frase che ricordo come un mantra, ti devi sbrigare.
Non lo feci mai, fino a giungere alla conclusione che non sono io ad essere lento, ma gli altri a correre, e non sempre con risultati migliori dei miei.
Mi distraevo guardando fuori della finestra guardando le esercitazioni nella vicina caserma dei pompieri dove si esercitavano buttandosi dalla torre.

Tornando al balconcino usato come spiaggia virtuale, vi venivamo chiusi tutta la mattina e a mezzogiorno, non prima, mamma ci permetteva il bagno con uso di pompa.
Un giorno, mi fece venire un'idea che si trasformò in una grande punizione.
Siccome il terrazzino aveva uno scarico a terra per far defluire l'acqua, e un alto zoccoletto sotto la porta di accesso ad evitare che l'acqua piovana entrasse in casa, presi una bacinella nel lavatoio e la posizionai sullo scarico, di modo che l'acqua salisse di livello e il terrazzino si trasformasse in una piccola piscina.
Ma, aimé, non calcolai che il livello dell'acqua avrebbe oltrepassato la misura dello zoccoletto; così fuoriuscì dal terrazzino e cominciò a cadere a cascata di piano in piano e lungo le quattro rampe di scale a gradini di legno.
Non fu l'unica "invenzione", tra quelle che ricordo.
Altra fu quella che mi venne in mente nel bagno che aveva le mattonelle smaltate di blu oltremare, presi il barattolo del borotalco e spruzzai verso l'alto perché cadesse come fosse neve; risultato, tutto il pavimento coperto da un sottile strato di borotalco.
La costruzione della villa, andò avanti per anni, costruita in economia, e nei primi anni le scale e i terrazzi erano privi di ringhiere, usati i secondi col tassativo ordine di mamma di non avvicinarsi al bordo e le prime salite con circospezione, per non cadere di sotto.

Facevo vita piuttosto ritirata e solitaria, un po' per carattere e un po' causato dal luogo di abitazione, 15 km dall'EUR e da Ostia, fuori mano; niente autobus, unica corriera della Stefer (poi Acotral ed oggi Cotral) ad orario diradato passava sulla via Cristoforo Colombo, comunque non utilizzabile da un bambino quale ero io, per quanto avventuroso, ma squattrinato (mai avuta nemmeno una paghetta). L'unico autobus permessomi, fu quello scolastico che mi portava all'Eur, foriero, tra l'altro, anche del mio primo innamoramento con la piccola bellissima bionda Daniela Perrotti, che come tutti gli innamoramenti giovanili, si limitò a grandi sogni sospiri, un unico timido tumultuoso bacio nel corridoio in pulman spinti dagli altri bambini, maliziosi.
La storia finì ingloriosamente ed inspiegabilmente, all'indomani del dono di una rosa rossa.
Quello però non fu il mio primo bacio; anni prima ad una festicciola, c'era una bambina di nome Bitti, Elisabetta, mi piacque ed io la sbattei al muro per baciarla, con tanta irruenza che me la dovettero togliere a forza. Daniela abitava in un'altra delle poche prime ville della zona, dove venni invitato a pranzo qualche volta dalla mamma, che, come tutte le mamme a seguire, saranno più "innamorate" di me delle figlie. Mai avuto un motorino ma solo una bicicletta che diventerà mio sport e il solo mezzo per evadere. Quindi passo i miei pomeriggi adolescenziali nel piano del sottotetto della nostra villa; una sorta di faro con due finestroni che mi offrivano una visione paesaggistica meravigliosa.
Miei compagni, un tavolo da disegno, un camino col quale amavo giocare col fuoco, facendolo uscire dalla bocca del camino, schizzando l'alcool, e il giradischi per ascoltare musica classica, l’unica presente in casa.
La mia passione, le quattro stagioni di Vivaldi e la musica per organo di Bach, mentre disegno e dipingo, mangiando caramelle Sanagola alla liquirizia in gran quantità. Le mie avventure preferite erano i pomeriggi alla scoperta di cantieri, tempo passato a guardare le ruspe dalla finestra della camera, che scavano per le fondamenta; poi spedizioni intrufolandomi nei cantieri alla scoperta prima delle villette e in seguito, in bicicletta, a volte impantanandomi nel terreno argilloso dopo le piogge, attraversando la vallata, sulla collina di fronte, nei palazzi del crescente quartiere 167 (dalla legge del 1962 Piani di Edilizia Economica Popolare che istituiva questi quartieri popolari) di Spinaceto.

Dopo le scuole elementari, in scuola pubblica, fui iscritto alle scuole medie all'Istituto Massimo dei padri Gesuiti, sempre all'EUR.
4 anni di sofferenza scolastica; tanto sofferente da essere puntellata da rimandi a settembre e perfino da una bocciatura in 2^ media a causa di un padre Palisi, di lettere, con il quale entrai in rotta di collisione, che mi portò ad un professore, Peppe Civitelli, al quale devo tutto quello che sarei stato e sono oggi.
Civitelli mi insegnò la passione per la conoscenza e la scoperta, la scrittura attraverso il diario, la lettura di libri che potevano essere quelli aderenti ai miei interessi, e quindi non solo romanzi come l'ultimo libro di Cassola, sul quale mi imbattei prendendo, in precedenza, un pessimo voto in un tema, ma anche i saggi di Folco Quilici, i racconti di viaggio, che hanno segnato la mia vita e la mia professione.
Mi insegnò lo spirito critico e il coraggio di esprimere le mie idee, che mi servirà quando mi lancerò nell'impegno del liceo ed oltre.
Mi insegnò che la scuola è vita ed è un'avventura, tra le 4 mura dei un'aula, ma anche uscendo fuori, come una bellissima gita di più giorni in Abruzzo.
Ma al Massimo, ebbi anche padre Mario Pesce, un'altra parentesi formativa ed umana, con la partecipazione ai "Ragazzi Nuovi", in cui imparai ad essere un uomo per gli altri.
Campionati di scacchi, giochi di gruppo, momenti di preghiera e dall'1 al 15 luglio il campeggio a Fonte Romana sulla Majella, prima esperienza di autonomia dalla famiglia, tra avventura, gioco e nostalgia serale, prima del fuoco.
Al campeggio, attraverso i servizi, ho imparato a cucinare, o meglio a pelar patate, a lavarmi la mattina, q.b., nel torrente gelato, lavando anche i piatti, a mettere a posto il sacco a pelo per il giro ispettivo.
Il tutto, assieme alle gare sportive, contribuiva al punteggio di squadra con cerimonia finale, prima della partenza, con tanto di distribuzione di medaglie.
Il primo campeggio passò per una buona metà sotto le tende, per un nubifragio che ci obbligò ad abbandonare il campo e rifugiarci in una casa dei Gesuiti, nel vicino paese di Campo di Giove, da dove, la mattina dopo, dalle finestre avemmo una visione meravigliosa: tutta la Majella innevata.
L'ultimo anno, di campeggio, ormai grandicello, fui autorizzato a partecipare alla mia prima avventura in montagna: notte tempo, un manipolo partì alla volta del monte Morrone, la cima più alta della catena della Majella.
La camminata si svolse sotto il sole caldo di luglio, dissetandosi con grattachecche, sciroppo e neve, ma l'ultima parte fino al rifugio fu un'avventura, freddo e fiocchi di neve, tanto abbondanti, da rischiare di rimanere bloccati; e allora non c'erano cellulari, quindi, ritardare la discesa avrebbe fatto scattare l'allarme.
Appartengo alla generazione che ha studiato, si è preparato e ha fatto politica dall'età di 13 anni, continuando con l'impegno liceale, eletto nel consiglio d'istituto per tre volte consecutive, con una lista minoritaria.
Poi, dopo un assaggio come rappresentante dell'on. Moro, al tavolo della consulta per la rifondazione del movimento giovanile DC, presieduto dall'on. Fanfani, a contatto con i Follini Casini e company, decisi che la politica parolaia ed ambiziosa non faceva per me. Meglio l'impegno politico e civile con la professione di fotografo.
Già dall’età di 10 anni, inizia la passione per la fotografia.
Mi viene regalato da mio nonno materno un apparecchio Rondine della Ferrania ma mi approprio anche della Zeiss Super Ikonta di papà per scattare le mie prime fotografie. Arrivato all’età di 14 anni con i pochi soldi racimolati comincio ad acquistare, con una certa regolarità, la mia prima rivista di fotografia “Fotografare”. Ho intrapreso il percorso scolastico del Liceo Artistico, dopo la scelta scolastica obbligata del liceo classico abbandonato al primo anno di ginnasio, grazie ad una sonora bocciatura, voluta e cercata. Sul finire del ciclo della scuola media inferiore, il test psicologico al quale avevano sottoposto a tutta la scolaresca, aveva evidenziato una vasta cultura generale, avevo assorbito tutto quello che il mondo circostante mi aveva offerto, e si consigliava la scelta di una scuola tecnica.
Non so per quale motivo, nonostante l’apertura mentale dei mie genitori, il consiglio non fu considerato in prima battuta, ma lo stop cercato portò ad un confronto con mio padre che pensava fosse giusta, per la mia mente umanistica, la scelta di un liceo, fece riconsiderare l’offerta scolastica disponibile al momento.
Arrivammo quindi ad una via di mezzo, liceo sì ma Artistico nel quale c’erano le materie che mi interessavano anche se mancava l’insegnamento della filosofia, ma tant’é. Abbandonavo l’Istituto Massimiliano Massimo dei padri Gesuiti per gettarmi nella mischia della vita pubblica anzitempo, forte dell’insegnamento ricevuto dai Gesuiti e dalla continua testimonianza dei mie genitori.
Il liceo artistico fu una meravigliosa palestra di vita, che solo oggi però, mi rendo conto ebbe un solo limite: troppo scuola e poco passione; è mancata l'immersione nella vita artistica, la conoscenza della vita degli artisti, per far sognare la vita d'artista, per creare quell'immaginario che attraverso i testimoni portasse a sognare l'imitazione per un futuro d'artista, così come feci poi con i fotografi per diventare un fotografo.
Nell’ambito della socializzazione, dato l’insegnamento ricevuto, di intraprendere senza aspettare soluzioni dagli altri, mi impegnavo nella piccola Parrocchia di periferia tenuta dai padri Agostiniani Recolletti spagnoli, fondo il gruppo C 14 (Comunità 14) per condividere attività spirituali e di assistenza, come la visita agli anziani dell’ospizio di Santa Balbina a Caracalla, dove mi feci amica una nonnina di origine egiziana. Seguivo anche mio padre nelle sue frequentazioni politiche.
Riunioni e convegni democristiani durante i quali ascoltavo, ascoltavo e ascoltavo. D’altronde cosa poteva fare un ragazzo timido ma curioso del mondo che lo circonda, se non ascoltare ed osservare da un angolo?
Questo facevo quando un mio zio materno, durante una festa familiare, mi avvicinò preso a compassione per quel piccolo isolato; se ne pentì, perché cominciai a parlare senza tregua per un pomeriggio intero.
Ma la timidezza e ciò che ne consegue, ha sviluppato in me la capacità di elaborare penieri e soluzioni.
Questo accadde anche quando, partecipando a Sassone nei pressi di Ciampino sulla via dei Laghi - tenetelo a mente perché la località tornerà più avanti per un fatto importante della mia vita -, ad un convegno di un sindacato del personale scolastico, presi la parola, chiamato a intervenire come studente capitato lì per caso che mai sarebbe intervenuto per la timidezza. Messo in mezzo, ebbi un bel successo di oratoria e non solo in quella sede.
Infatti, era lì presente il dottor Cervone che rappresentava l’ufficio scuola dell’on. Aldo Moro e, nonostante io mi sentissi assolutamente inadeguato, a sorpresa, di lì a qualche giorno, mi fece chiamare da Moro. Infatti, in quei tempi il segretario del partito, la DC, la Democrazia Cristiana, aveva sciolto il Movimento Giovanile, dopo la sconfitta subita alle elezioni universitarie.
Era il movimento giovanile costituito dai Follini e i Casini; tutti universitari, ma Moro mi chiese di rappresentarlo nella Consulta per la ricostituzione del Movimento Giovanile. Accettai, fiero della fiducia accordatami, anche se mi sentivo inadeguato. Partecipai alla prima riunione dei delegati, seduto a metà del lungo tavolo a piazza del Gesù, alla presenza del segretario Fanfani.
Mi ero preparato un discorso scritto, ma la timidezza mi paralizzava, e quando venne chiesto chi volesse intervenire, io mi feci sentire buon ultimo. Pessima idea, perché i primi non sono mai discreti, si prendono tutto il tempo, lasciando uno scampolo agli ultimi.
Così, dopo aver tagliato frasi una dopo l’altra, addirittura, fuori tempo massimo, si erano quasi dimenticati che ci fossi.
Poi Fanfani si ricordò e mi fece intrevenire chiedendomi la brevità, forse nel timore che rappresentando Moro abituato a discorsi da sei ore filate, ne fossi un emulo.
Invece, non ricordo nemmeno cosa dissi, fatto sta, che terminata la riunione, Fanfani che ricordo mi arrivava al petto per quanto era basso, mi si avvicinò e stringendomi la mano mi disse “Cocco complementi, bravo”.
Ma la mia poca autostima mi fece fermare là.
Avrei potuto iniziare un percorso, partecipai, ascoltai, osservai, pensai, ma non interloquii più. Il mio impegno continuò a livello scolastico. Intanto, la mia passione per la fotografia cresceva e, dopo aver inviato un coupon trovato sul giornale fotografare, alla scuola Radio Elettra per ricevere informazioni sul corso di fotografia, papà si vide arrivare un rappresentante in ufficio che gli prospettò l’acquisto del corso a fascicoli, accompagnato dal materiale utile alla costituzione di una piccola camera oscura per il bianco e nero: 3 bacinelle 13x18 cm, 3 pinzette, 2 bottiglie per lo sviluppo e il fissaggio, una tank con la spirale per lo sviluppo delle pellicole, un pacco di carta 13x18 cm, un torchietto per la stampa a contatto delle pellicole, la lampadina inattinica rossa. Mio padre tornò a casa e, dopo averne parlato con mamma, mi convocò; io mi scusai dicendo che non volevo acquistare ma solo avere informazioni come era scritto sulla pubblicità, ancora non sapevo che certa pubblicità è fatta apposta per incastrare alla vendita.
Comunque fu così che papà mi disse che avevano deciso con mamma di regalarmi il corso.
Di lì a poco arrivò il pacco e cominciai i miei primi esperimenti di camera oscura. Quando finivo la carta o i liquidi, inforcavo la mia bicicletta da corsa e mi facevo 30 km andata e ritorno per arrivare da "Pispico" un gran bel negozio tra viale Marconi e via Oderisi da Gubbio, dove sognavo guardando Nikon Canon Olympus, per acquistarne e continuare. Ma il torchietto per la stampa a contatto non bastava più, era arrivata la necessità di ingrandire le foto, ancora mancava qualcosa, il mitico ingranditore.
Nel mio gruppo parrocchiale avevo un paio di amici Roberto e Antonio tra loro inseparabili, che già lo possedevano.
Chissà come sta Antonio che in uno stupido incidente vicino casa rimase paraplegico. Dicevo, l’ingranditore, ancora una volta, papà mi venne in aiuto e sacrificando la doppietta Beretta regalatagli da mamma, assieme al Setter Laverac, per una caccia mai praticata; papà non era proprio portato per la caccia, chissà perché mamma, pur conoscendolo bene, glielo regalò.
Beh, papà decise di venderla per comprarmi l’ingranditore. Al liceo, nel mio primo anno di liceo artistico, primo impatto con la scuola pubblica, è l’anno della rivoluzione copernicana della democrazia scolastica, della legge che istituisce gli organi collegiali, i consigli d’istituto.
Ma la legge è in attesa dei "Decreti Delegati" per la sua attuazione e iniziano scioperi e occupazioni con assemblee fiume, nelle quali gli extraparlamentari di sinistra monopolizzano la discussione, attaccando il governo e la legge istitutiva degli organi collegiali, discutendo, come d’abitudine in Italia, anche di ciò che non c’è scritto o che non si sa ancora. E’ il momento di andare otre le timidezze e scendere nell’arena, per esprimere il disaccordo. All’inizio solo contro tutti, poi, piano piano, arrivano i primi riscontri della minoranza silenziosa. Era il 1974. L’altra mia passione, oltre la fotografia, il ciclismo.
Mi ero comprato a rate da 10.000 lire, la bicicletta da corsa Lazzaretti che tenevo pulita e curata per andare scorrazzando ovunque; andavo al velodromo dell’EUR che oggi non c’é più in quanto è imploso minato per far posto a non so quale cementificazione; con lei avevo vinto una gara ed ero in procinto di entrare nella polisportiva giornalai. Il 10 marzo, una calda e bella giornata di primavera; prima domenica di traffico a targhe alternate dopo l’austerity per la crisi petrolifera. I miei genitori decisero di andare a trovare padre Virginio Rotondi nella sua casa sulla via dei Laghi, ricordate già citata, quella della riunione di Sassone; io deciso di seguirli, ma in bicicletta, la giornata meravigliosa e la mancanza di traffico, nel 1974 le automobili erano pochissime, figuriamoci quelle a targa pari. Eppure mia madre cerca in tutti i modi di dissuadermi ad andare in bici. Io naturalmente non ascolto. E’ l’anno del referendum sul divorzio, e arrivato il padre Rotondi, in procinto di partire per un giro d’Italia per una campagna referendaria contro il divorzio e, a sorpresa, mi propose di accompagnarlo.
Ancora una volta, inconsapevole del perché tanto apprezzamento, accetto con piacere ma .... Ma la vita è misteriosa, imprevedibile, e di lì a poco, ore 12, scendendo a 80 km orari a ruota libera sulla mia destra come mia abitudine, all’altezza del paese di Marino, mi si parano 3 automobili a targa pari che in un doppio sorpasso azzardato, spingono all’esterno una Mini Minor che mi prende in un frontale.
Salto in aria, colpisco il parabrezza e ricado di lato nella cunetta laterale.
Attimi indimenticabili, lo sguardo verso il cielo, un fagotto, i femori spezzati, le gambe rattrappite e gonfie per emorragia interna, poi il capannello degli componenti delle automobili compreso l’investitore e la sua fidanzata, a cui di lì a poco si aggiungono i miei genitori che sopraggiungono con la loro Fiat 500 bianca. La paura, il freddo che si impossessa del corpo, la sensazione di morire, un pensiero alla Madonna perché se è arrivata la fine, mi aiuti.
L’ambulanza è stata chiamata, il tempo si dilata, infinito, quando arriva dopo 20 minuti, un pulmino Alfa Romeo, senza alcuna attrezzatura, i 2 infermieri mi caricano sulla barella e inizia la corsa verso il pronto soccorso del piccolo ospedale di Ciampino dove c’è il reparto ortopedia, distaccato dell’ospedale di Marino.
Di lì inizia la corsa per la vita; l’emorragia interna stava lì lì per farmi morire dissanguato, i femori spezzati fermi a un millimetro dalle arterie femorali che hanno rischiato di farmi morire se le avessero tranciate, rischiano di farlo in fase di raddrizzamento delle gambe durante l’intervento medico.
Io perdo coscienza e la riprenderò dopo due giorni ritrovandomi in un letto con le gambe in trazione.
Altro miracolo, ho un gran dolore dato dall’apofisi della terza vertebra lombare, che si è lesionata durante la caduta, ma non sono rimasto paraplegico. Inoperabile per 18 giorni sotto flebo e trasfusioni di sangue, poi una lunga operazione del professor Galeazzo Carreri per inserire 2 placche con 9 viti su un femore e 10 sull’altro. Inizia una lunga convalescenza di 6 mesi in carrozzina per impossibilità di caricare i femori.
Il callo osseo innescato dall’inserimento delle scaglie di osso prelevati dalle creste iliache, procede bene, ma di mese in mese, gli ultimi mesi, mi si chiede di avere ancora un po’ di pazienza, ancora un mese, per rialzarmi.
Poi finalmente sui bastoni canadesi, per 2 mesi. Così la vita continua, la nuova vita ricomincia, e torno a scuola; ma come ogni anno, passate le feste natalizie, tutti sono tornati in classe, è finita la ricreazione degli scioperi e occupazioni; tutto è rimandato all’anno successivo. Il 1975 si apre all’insegna delle novità degli organi collegiali e le assemblee si caricano di ulteriori tensioni politiche. 17 anni, inizio similmente a tanti altri come mio solito, defilandomi.
Poi, passando i giorni, comincia dentro un’insofferenza crescente, la necessità di dire, non sono d’accordo e di farlo anche per la solita minoranza silenziosa.
Ma bisogna trovare il coraggio per scendere nell’arena abituata al monopolio di sinistra. Partecipo alle assemblee nebbiose di tabacco e marjiuana che mi portarono a scegliere di fumare ma ancora una volta in maniera singolare la pipa.
Con i pochi soldi in tasca andai ad un tabaccaio tra la stazione Termini e piazza della Repubblica e scelsi una Savinelli dritta che nel mio immaginario era la pipa per eccellenza, quella fumata da Maigret, e perché rientrava nel mio piccolo budget; essendomi rimasti pochi spiccioli il mio primo tabacco, anche per scarsa conoscenza, fu un classico Clan aromatico. Ora anche io facevo fumo tanto e più degli altri e finalmente, all’ennesima domanda pleonastica, siete tutti d’accordo, io dico no. Nasce il contraddittorio tra me e la controparte che all’inizio sembra Davide e Golia ma che pian piano da coraggio ai silenti coagulando un piccolo gruppo di opposizione moderata. Si preparano le prime elezioni per la rappresentanza della componente studentesca. Le liste scontate dall’inizio, la FGC Federazione Giovanile Comunista - capeggiata dal compagno Corrias che, anni dopo lascerà il partito perché troppo soffocante - e Comunione e Liberazione, a sorpresa la mia Comunità degli Studenti.
Grandi assenti, i protestatari extraparlamentari di sinistra composti da Lotta Continua a Movimento Operaio, che continueranno la loro lotta violenta interna all’istituto, il IV Liceo Artistico di via Beata Maria de Mattias in largo Pannonia a Roma, ed esterna contro un nemico di destra proveniente da piazza Tuscolo.
Se la prenderanno anche con il vicepreside professor Astengo, sindacalista della CGIL, dal mitico sigaro toscano sempre in bocca, che buttarono giù dalle scale, minacciandolo poi con la pistola. Ampiamente defilato il professor Fanella, il mite preside. Sul versante genitoriale, si creano 3 candidature: Massara socialista, Monteleone comunista, e Giovanni Cocco il mio papà democristiano, che verranno tutti e tre eletti. Papà sarà molto attivo e parteciperà anche a momenti di massima tensione, opponendosi fisicamente. Tornando agli studenti, raccolte le firme, da carbonari, chiamando gli studenti perfino a casa, presentata la lista, comincia la campagna elettorale fatta di ciclostilati, non avevamo computer e stampanti, e manifesti fai da te che, una volta scritti venivano moltiplicati in più copie cianografiche, per ovviare al fatto che venivano regolarmente staccati e strappati. Avevo degli amici collaboratori tra i quali ricordo Rosa Sapuppo, Rita Destro Bisol e il mitico amico di tante avventure Claudio Lucantonio.
Per l'impegno politico scolastico diedi vita al Movimento Comunità degli Studenti (MCS) che mi portò a riunire studenti di varie scuole romane e loro rappresentanti con i quali creammo una rete.
Anche a seguito di questa mia iniziativa, ebbi l'incarico da parte dell'onorevole Moro a collaborare al suo fianco, nella Consulta per la rifondazione del Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana e mi permise anche di riunire i rappresentanti del Movimento, nella sala delle assemblee della DC a palazzo Sturzo all'EUR.
La partecipazione alle votazioni fu altrettanto difficile, ogni voto conquistato uno ad uno, non perché non ci fossero, ma perché i moderati sono meno impegnati e combattivi. Ma, gli sforzi diedero i risultati desiderati, la lista ce la fece e per tre anni consecutivi mi sedetti al tavolo del Consiglio d’Istituto gran bella esperienza di vita; lì iniziai a fumare il mio tabacco preferito ancora oggi, Anphora Black Cavendish, conosciuto da un professore di architettura. Ma le battaglie non finirono alla tenzone elettorale o alle riunione di Consiglio d’Istituto. Ogni anno si susseguirono scioperi ed occupazioni. Durante l’ultimo anno, il 4°, per dirimere le diatribe su programmi e autogestioni, mi venne l’idea di proporre l’uso di una clausola legislativa che concedeva autonomia scolastica ai licei artistici, per attuare l’interdisciplinarietà, e soprattutto al quarto anno, per ristudiare i programmi assieme ai professori in quanto, per ragioni di tempo, noi artisti rischiavamo di uscire dal corso di studi fermi al 1200.
Proposi di adottare il Bignami per coprire l’arco di secoli.

Avendo scelto di iscrivermi all’artistico in quanto al classico amavo disegnare architetture, dopo il biennio uguale per tutti, ho scelto il biennio che mi ha fatto diplomare in architettura.
È il 30 aprile 1986, Internet Day: dal CNUCE (Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico) di Pisa parte un segnale di quattro lettere. Quel segnale viene trasportato a 28kbs, passa dalle antenne di Telespazio e arriva fino alla stazione di Roaring Creek, Pennsylvania, sfruttando la rete satellitare atlantica Satnet.
Giunto a destinazione, inaugura una nuova era per il nostro paese: l'epoca di Internet in Italia.


Ma in Italia, già prima del 1986, esisteva una sorta di “internet prima di internet”: delle reti locali sfruttate da pochi appassionati pionieri (io ero tra quelli) per collegarsi e consultare pagine di testo, database o scambiare messaggi via computer nelle antesignane delle odierne chat.
Uno degli esempi più noti è il Videotel: un monitor con tastiera incorporata che si collegava alla rete telefonica attraverso un modem a una velocità di 1.220 baud.


Il Videotel venne introdotto nel 1985 dalla SIP, l'odierna TIM, nel tentativo di replicare il successo del Minitel francese (unico Paese in cui sistemi di questo tipo andarono incontro a una effettiva popolarità).
Il successo, però, non arrise alla nuova tecnologia, in quanto, a differenza della Francia, dove tutto era gratuito per fornitori e fruitori, in Italia, come al solito i costi erano elevati. All'apice della popolarità il Videotel raggiunse i 180mila abbonati, ed io fui uno di loro.

L'anno successivo all'introduzione del Videotel avvenne il primo collegamento italiano a Internet, e già nel 1987 si registrò il primo dominio .it (richiesto dal Cnr) e nel 1991 Tim Berners-Lee diede vita al World Wide Web.
Apparve subito chiaro come la rivoluzione che da lì a poco avrebbe cambiato la vita di tutti noi sarebbe corsa sugli schermi dei personal computer ed io cominciai da subito a dotarmi di un computer e a far risuonare il cicalino del modem per collegarmi in internet.
Ci sarebbe però voluto ancora qualche anno: è infatti solo nel 1994 che Internet diventa accessibile commercialmente anche in Italia, ed è nello stesso anno che l'editore Nicola Grauso lancia dalla Sardegna Video On Line, il primo Internet Service Provider (ISP) italiano che offre la possibilità di connettersi alla rete attraverso dei dischetti venduti assieme ai più diffusi settimanali italiani (Topolino e Panorama, per citarne solo due) o chiamando un numero verde che consentiva l'accesso gratuito per qualche mese.
Dopo un anno di attività, Video On Line raggiunge i 15mila abbonati, vale a dire il 30% degli utenti italiani (comunque pochissimi), ed io ero tra quelli, ritenuto utopista perditempo, navigavo con lentezza, copiavo smontavo e rimontavo i pochi siti in rete, per farmene uno tutto mio. La vulgata riteneva internet senza alcun futuro, comunque un servizio di nicchia.

Invece, come sempre avviene, a un certo punto la tecnologia compie un vero e proprio salto e le connessioni diventano anno dopo anno sempre più veloci, trascinando con sé, oltre all'uso anche l'interesse.
La connessione alla rete diventa rapidissima, mentre iniziano a diffondersi gli abbonamenti flat, indispensabili visto l'utilizzo sempre più pervasivo che si fa di Internet e del web.
Anche gli utenti crescono in maniera esponenziale: 2 milioni nel 1997, 5 milioni nel 1999, 12 milioni nel 2002, 17 milioni nel 2007.
Fino ad arrivare agli utenti di oggi che, tra cellulari, tablet, portatili, grazie anche alla pandemia sono milioni e, finalmente, si comincia a parlare di rivoluzione digitale anche a livello europeo. 
Io che mi ero seduto sul bordo del fiume in attesa del passaggio del cadavere del mio nemico, dopo aver tenuto duro per 20 anni precursore d'avanguardia, oggi ho assistito all'uso massivo allo Smart Working, alle riunioni, alla scuola e mille altre cose online.

Collaborato come corrispondente dall'Italia con l'Agenzia Studio X di Parigi 

Collaborato con l'Agenzia Reporter Associati

Agenzie Stock: Il Dagherrotipo, Afe di Piero Servo, Olympia,

la festa dell'albero, imparando l'inno di Mameli - la fotografia di classe - la vigilatrice con lo zuccherino
giardino di 300 mq con piccolo orto zappa e vanga - macchina coperta di ghiaccio - giochi in chiostrina e passerella - alzate serali messi a letto alle 19, arrampicate su tetto - tirato martello Cinzia Bruno tumore di mamma a 30 anni adozione Salvatore acquisto casa a Ostia per vacanze la campagna a Velletri
parrocchia in una stalla creo un gruppo parrocchiale

1979 prima mostra fotografica
1992 primo Viaggio in Albania
1997 viaggio in Nepal e Buthan Sudan Romania
2005 Insegnamento all'Accademia di Belle Arti di Aleppo aereoporto poliziotto mi accende la pipa

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