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Camminare con lentezza: saggio o insano

Riprendendo un articolo trovato in rete sul sito socialtrekking.it, scritto da Raffaele Basile il 9 agosto scorso, che a sua volta riprendeva due articoli simili e contrari dedicati ai camminatori: il primo del britannico “Daily Express” rassicurante per i camminatori, in quanto secondo studi anglosassoni, muoversi in genere e camminare in particolare, produrrebbe più consistenti benefici rispetto alla maggior parte dei farmaci attualmente in commercio per curare le forme di carenza intellettiva o addirittura demenza. Passeggiare all’aperto per una ventina di minuti al giorno non soltanto rafforza la memoria, ma migliora le funzioni cerebrali di chi cammina.
Il secondo, pubblicato dalla stampa americana, contraddice il primo citando uno studio di un’equipe di studiosi del Boston Medical center, per cui, chi cammina lentamente correrebbe più rischi di contrarre forme di demenza, in particolare sarebbe a rischio di Alzhaimer (una volta e mezza in più – rispetto a chi invece era in grado di avere un passo più sostenuto).

Secondo la mia esperienza di camminatore lento e meditativo da 56 anni, hanno ragione tutti e due, in quanto, indubbi sono i benefici fisici del camminare, più efficace nella cura di tanti disturbi e sostitutivo di molti farmaci; mentre per la mente, in effetti, chi cammina meditabondo, vagando con il cervello perso nei suoi pensieri e nell'osservazione di ciò che incontra, seguendo il moltiplicarsi delle proprie idee e progetti, vive in un suo mondo e perde la strada maestra per seguire le traverse dove lo porta il cuore e la curiosità.
Insomma, l'asceta metropolitano, il camminatore lento, è un individuo "asociale" inteso come non catalogabile, ritenuto un po' demente per il solo fatto che vede la vita da un verso non condiviso dalla massa, non usa e abusa del mondo come le persone "normali". Esce fuori dagli schemi scientificamente provabili.

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