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Cultura e creatività fotografica ai tempi del selfie

1839 nasce la Fotografia, 176 anni nei quali la tecnologia ha subito una rivoluzione copernicana, mentre linguaggio, grammatica e sintassi, un’involuzione.


Dalla sua scoperta, le migliorie sono state continue ed inarrestabili. All’inizio fu l’analogico con le lastre dalla bassa sensibilità e dagli apparecchi ingombrantissimi. Poi, le emulsioni diventarono sempre più sensibili e gli apparecchi fotografici sempre più piccoli e maneggevoli; fino all’uso delle pellicole cinematografiche, il formato 35 mm o leica, dal nome dell’altrettanto mitica macchina fotografica che ne permetteva l’uso, compatta, praticamente tascabile e ad obiettivi intercambiabili per adattare le riprese alle necessità compositive.

24 agosto 1981 inizia la nuova era digitale con l’uscita sul mercato della prima fotocamera digitale, la Sony Mavica FD5.
Nascendo in un periodo in cui la cultura elettronica si fa sempre più diffusa, la fotocamera digitale, dispone fin da subito di dimensioni contenute e di un livello di automatismo molto elevato.
Eppure, l'accettazione dei nuovi apparecchi fotografici da parte dei fotografi non fu immediata. Inizialmente, infatti, le fotocamere digitali non disponevano delle raffinatezze meccaniche e ottiche, conquistate in più di un secolo di fotografia: niente ottiche intercambiabili, poche regolazioni manuali e un display da tenere a distanza elevata dagli occhi al posto del mirino. Lo stile personale dello scatto fotografico non poteva, in tal modo, essere realizzato, e la versatilità delle impostazioni variabili di apertura e tempi veniva negata.


Lo scetticismo verso la fotografia digitale da parte dei fotografi professionisti cresce con la consapevolezza che la nuova tecnologia riduce l'esclusività delle loro competenze, in quanto, soprattutto grazie all'uso di software per la rielaborazione digitale dell'immagine, il più noto dei quali è Photoshop sviluppato a partire dal 1990: creare l'immagine perfetta è, orami, alla portata di uno studente liceale.
Con il passare del tempo la qualità della fotografia digitale continua a migliorare; nascono gli apparecchi reflex digitali, con cui torna possibile agire su tempi e diaframmi; sono disponibili obiettivi sofisticati ed intercambiabili, che consentono al fotografo un'espressività non standardizzata, i pixel aumentano a ritmo costante e vertiginoso, migliorando la qualità delle immagini.


Poi, è il momento dei cellulari in grado di scattare fotografie; ed anche questi progrediscono velocemente nella qualità dei risultati e disponibilità di software per l’elaborazione “artistica”. Contemporaneamente, internet inventava spazi e vetrine in grado di mostrare e condividere le fotografie scattate.


Ma, a fronte di tanto progresso tecnico e tecnologico e all’azzeramento dei costi di realizzazione delle immagini, si è verificata un’involuzione ed un imbarbarimento del linguaggio e dell’uso della fotografia.


La competizione iniziale con i pittori portò i fotografi ad utilizzarne il linguaggio compositivo, gli stili e le specializzazioni - ritratto e paesaggio -, a sperimentare e arrivare con lo strumento iperrealistico a raggiungere le vette dell’astrattismo pittorico.
Infatti, la fotografia nata per sostituire il disegno manuale e immediatamente dopo per gareggiare con l’arte pittorica, nel realismo artististico, oggi, pur potendo arricchirsi di nuovi spazi narrativi ed artistici, li vanifica per mancanza di creatività e cultura.
Oggi, tra chi scatta fotografie, come per tutti gli artisti, viene a mancare la curiosità e la passione che, come d’abitudine tra gli artisti delle Avanguardie, portava a guardare e studiare il lavoro dei colleghi predecessori e contemporanei, per trovare la propria strada e il proprio stile, studiando tecniche, storia della fotografia, linguaggio, grammatica e sintassi, composizione e struttura del racconto fotografico.


Non è quindi un problema di strumenti utilizzati per scattare le fotografie, in questi giorni la pubblicità dell’iPad propone e promette l’uso fotografico professionale, gli smart phone sono in grado di qualità fotografica pari agli apparecchi fotografici, ma tutto ciò è vanificato da una scarsa competenza e assente cultura visiva.


Si insegna a tenere la penna in mano, ma anche a scrivere, ad esprimersi con soggetto predicato e verbo; si parte con il dettato per arrivare ai temi passando per la lettura di libri e poesie.


Ma soprattutto,  ancora una volta, il difetto maggiore sta nel fatto che l’edonismo, con il selfie, spinge a puntare l’obiettivo su sé stessi, anche più di dieci volte al giorno, con un’inquadratura stretta su di sé e solo su sé stessi, senza più interessarsi a ciò che avviene d’intorno.
La fotografia offesa e vilipesa dall’annullamento della sua capacità di raccontare la realtà.


Il progetto, la storia, la ricerca del miglior punto di vista, della luce giusta, del momento giusto per scattare, l’emozione che fa scoccare la necessità di scattare per restituire l’emozione provata, tutto questo è fotografia.
Tutto questo manca a giovani e meno giovani che usano le migliaia di inutili selfie che documentano momenti, mostrandoli, ma non raccontandoli.
Se poi, l’emozione inizia e finisce nell’affermare io esisto a prescindere da tutto e da tutti, paradossalmente, rende una volta di più, soli e senza voce, anche se diffusi e “condivisi” sui social.


Quindi, anche per la fotografia, il futuro è simile a quello della cultura e della politica; superficialità, approssimazione, disimpegno, stanno inaridendo e istupidendo gli individui, rendendoli sempre più massa incapace di entrare nella storia, rimanendo cronaca anonima ed effimera.

Che tristezza!

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