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Basilicata: Vulture


Vulture [pronuncia: vùlture] (talora Vulture-Alto Bradano o Vulture-Melfese o Melfese), in Provincia di Potenza (PZ) nella Regione Basilicata, i cui abitanti sono detti Vulturini,  è la zona del Nord della Basilicata, dominata dal profilo del massiccio del Monte Vulture. 

Il Vulture conserva un importante patrimonio ambientale, ove i luoghi di tipo naturalistico sono legati alla presenza di boschi, sorgenti, torrenti Sub-Montani ed aree da pascolo. 

Il Territorio del Vulture costituisce una delle unità Sub-Regionali meglio individuate della Basilicata, identificata, all'incirca, con la cosiddetta Regione Melfese, che comprende 27 Comuni, tra i quali i maggiori sono: Atella, Barile, Ginestra, Melfi, Rapolla, Ripacandida, Rionero, Maschito, Venosa, Ruvo del Monte, Rapone e San Fele.

L'intera plaga, su cui domina l'Antico Vulcano, rappresenta una delle principali attrattive turistiche della Basilicata, per il pittoresco aspetto nei paesi, per l’austera bellezza del Vulcano, per il suggestivo paesaggio, caratterizzato dalle foreste e dagli stupendi Laghi di Monticchio, ed infine per i Centri ricchi di Storia e d'arte.


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«Racconti di Viaggio»

«Il Vulture fu un vulcano ardente, tremendo. 

Ha trenta miglia di circonferenza; è lungi trenta miglia dalla più vicina sponda dell'Adriatico. 

Ha per confini al sud il fiume di Atella, all'est quel di Rapolla, all'ovest e al nord l'Ofanto. 

Chiude nel suo recinto Melfi, Rionero, Rapolla, Barile, Atella e molti villaggi.»

(Cesare Malpica, «La Basilicata: impressioni»)

 Da «Viaggio in Italia» di Guido Piovene

«[....] Altre speranze suscita il territorio che si estende a nord di Potenza, verso Rionero in Vulture, Melfi, Venosa. 

Si radunano qui le maggiori opere d'arte della Lucania, se si esclude Matera: la chiesetta romanica ma su modello bizantino di Santa Lucia a Rapolla, il sarcofago di Rapolla a Melfi, romano, con una figura di donna giacente che secondo la tradizione ispirò a Jacopo della Quercia la sua statua di Ilaria del Carretto, i castelli Normanni, come quello di Lagopesole e quello di Melfi, quadrati, potenti, rossastri, che sovrastano l'abitato intonando il paesaggio, e ci preparano già alla vicina Puglia. 

È questa anche tra le zone più agiate della Lucania, e perciò di apparenza dolce; e produce buon vino, come a Barile, dove ho trovato un’industria vinicola ben condotta di moscato e spumante. 

Intorno a Barile ed a Rapolla, si vedono le cantine scavate nelle pareti rocciose del monte, che perciò appare tutto trasformato di loculi, e potrebbero scambiare con una necropoli.

Presso il confine della Puglia, a Venosa, patria di Orazio è la più importante e colonia romana in Lucania a quei tempi, spira già un'aria adriatica ed orientale.

Nel piano intorno a Venosa, vicinissimo alla città, sorge il più suggestivo dei monumenti che abbiamo finora toccato: l'abbazia della Trinità. 

Vi si lavorò a più riprese nei primi due secoli dopo il Mille, ma fu lasciata incompiuta. 

Sembra perciò, senza esserlo, una rovina perduta nella solitudine, con alte muraglie sorgenti in mezzo ai prati ed i leoni di pietra davanti al portale; facendone il giro, ogni passo solleva un profumo d'erbe aromatiche. 

Ma forse la scoperta più impreveduta della zona è il Vulture con i suoi boschi ed i due laghi di Monticchio. 

Nell'angolo settentrionale della Lucania confinante col Beneventano, il Vulture è un vulcano spento, e la zona nel raggio del vulcano è, come sempre, fertilissima, adatta alle ricche coltivazioni. 

Qui si ritrova una delle rare aziende agricole-modello della Lucania. 

La plaga abbonda da acque minerali medicamentose, solo in parte sfruttate.

Sul Vulture si sol fermarono geologi ed antropologi, essendo una delle plaghe italiane più adatte ai loro studi, anche per i copiosi residui di vita preistorica. 

Per noi si legherà al ricordo soprattutto col bosco di Monticchio, che cresce quasi tutto su terra vulcanica, ed è tra i più belli d'Italia. Parlando della Sila, dove sorge il pino silano, somigliante all'abete, abbiamo rammentato l'Alto Adige e la Scandinavia; a Monticchio si ricorderà piuttosto il Varesotto, sebbene in uno stile più classico. 

È il bosco classico italiano, quello dei versi dell'Ariosto, ombroso, fitto, vasto e vario, di castagni, di faggi, querce, olmi, pioppi e cerri. 

Il bosco di Monticchio si direbbe una fantasia natalizia, con le sue quasi mille piante diverse e la sua fauna inconsueta. 

Quando lo traversai era fiorito di un tappeto di ciclamini, ed i castagni apparivano così carichi, che i frutti nascondevano quasi le foglie. 

Due piccoli laghi vicini si aprono in mezzo al bosco.

Li sovrasta un albergo nuovo, e l'abbazia di San Michele, meta di pellegrinaggi. 

La cappella si trova in fondo a una grotta che servì di nascondiglio ai briganti. 

Vi si scorgono, come a San Demetrio in Calabria, affreschi bizantini, nei quali le figure e i volti ricordano i mosaici di San Vitale a Ravenna. Quando vi andai, la chiesa era deserta.

Delle scene di devozione rimanevano però i segni; i cosiddetti gigli, macchinosi fiori fatti di candele bianche; e gli arabeschi delle mani sulle pareti. 

I pellegrini usano infatti, con un rito di sapore magico, lasciare nella chiesa una parte di sé; e lo fanno applicando sulla parete con le dita aperte, seguendo le poi i contorni, in modo che ne rimanga lo stampo; una firma spettrale in cui si vorrebbe trasfondere la concreta persona fisica e la forza viva [....]»

(Da «Viaggio in Italia» di Guido Piovene - 1950 - pagine 745-746)






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