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Italia paese dell'arte, da decenni, non è più un paese per artisti


L’arte, oltre a migliorare con la bellezza l’aspetto dei luoghi, genera un’aura positiva che migliora il vivere quotidiano degli individui e delle cittadinanze.


Ma perché questo avvenga e venga apprezzato, bisogna educare i cittadini, già in tenera età, al gusto per il bello e alla fruizione dell’Arte, altrimenti accade, ciò che è accaduto nei mesi scorsi a Piacenza, città d'arte che dispone di un ragguardevole patrimonio artistico, frutto della storia millenaria che l'ha caratterizzata.


Come riporta Il Fatto Quotidiano del 28 ottobre 2016 a firma Gianmarco Aimi: “Quadro da 110mila euro per la caserma dei Vigili del fuoco (foto d'apertura). Ma qui piove dentro e niente docce” L'opera è stata acquistata dal ministero delle Infrastrutture sulla base di una legge del 1949 che prevede "lo stanziamento del 2 per cento del costo di un nuovo edificio pubblico per abbellire con opere d'arte lo stesso immobile". A nulla sono servite le richieste dei sindacati perché i fondi fossero dirottati su interventi strutturali.


La caserma dei vigili del fuoco di Piacenza, dopo l’arrivo di un’opera d’arte acquistata dal Ministero delle Infrastrutture al prezzo di 110mila euro, è sicuramente più bella. Ma quando i pompieri devono farsi una doccia, l’acqua persa dallo scarico, da più di sei mesi, scende nell’autorimessa. Oppure quando piove le stanze al piano terra si allagano perché mancano gli infissi. Senza contare le mancanze strutturali a quattro anni dall’inaugurazione della nuova sede: dall’assenza di un distributore di benzina per le emergenze o di un capannone per i mezzi (l’articolo).
La questione sollevata anche dai consiglieri comunali del Movimento 5 Stelle, Mirta Quagliaroli, Andrea Gabbiani e Barbara Tarquini: “In Italia abbiamo perso il buon senso e la percezione delle priorità” dicono.


Per rispondere a sindacati e Cinque stelle, ignoranti della legge e poveri di cultura, forse basterebbe ciò che già scriveva Goethe nel suo viaggio in Italia del 1786:
“… Osservando sul luogo le magnifiche costruzioni che quell’uomo (Palladio) creò, e vedendole lordate dai bassi e triviali bisogni degli uomini, ………. e come questi stupendi monumenti di un elevato spirito umano mal si adattino alla vita comune, non si può non pensare che lo stesso avviene per ogni cosa; poca gratitudine si ottiene infatti dagli uomini quando si cerca di innalzare le loro intime esigenze, di dar loro una grande idea di se stessi, di farli capaci della bellezza autentica e nobile. Ma se la si dà a intendere ai merlotti, se li si incanta con le frottole perché possano tirare avanti giorno per giorno, se insomma li si peggiora, allora si è ben accetti; e perciò la nuova epoca di tante scipitaggini ………….. dico solo che gli uomini sono così. e che non c’è da meravigliarsi se tutto va come va.”


Diceva padre Dante “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, ma gli italiani, capeggiati da una classe politica che ben li rappresenta, hanno perso il senso del bello e la capacità di investire per il benessere dello spirito.
Risultato, vivendo immersi nella bruttezza architettonica delle città, in ambienti grigi, che influiscono sullo stato d’animo, sono diventati aggressivi, depressi, vedono tutto nero, pessimisti, privi di positività, spiritualmente vuoti, senza riferimento alcuno, preda della crisi economica etica ed estetica.
L’arte e il bello migliorano la qualità della vita individuale e sociale, ma tutto viene banalizzato riconducendolo a questioni di soldi.


Già gli antichi romani tenevano le Arti visive plastiche e architettoniche in massimo conto, come strumento di scambio culturale e per migliorare la vita privata e sociale, in patria ed in ogni luogo conquistato
Se l’Italia è conosciuta nel mondo per essere il paese del bello, lo dobbiamo alla natura dei paesaggi sui quali gli italiani d’altri tempi hanno aggiunto architetture civili e religiose di pregio impreziosite con sculture, pitture, mosaici.
Nei tempi passati, certamente non più agiati di oggi, le popolazioni ambivano a dare il proprio contributo per la costruzione di tante di quelle opere, beni culturali artistici ed architettonici, per le quali il mondo ci apprezza e di cui, noi italiani contemporanei, colpevolmente, ci accorgiamo solo quando i terremoti ce li distruggono.
Eppure, in mezzo ai pianti per le vittime e alle macerie, nessuno dei superstiti si lamenta per gli sforzi umani e finanziari spesi a salvare il salvabile delle opere d’arte e per le successive ricostruzioni delle chiese e dei beni architettonici, parte della storia e dell’identità materiali e immateriali di luoghi e popolazioni, radici condivise.


Nella Roma in cui oggi sguazzano palazzinari cementificatori e truffatori, ieri c’erano le Arciconfraternite, aperte anche alle donne, riunite in "Università" (associazioni di mestiere che erano l'equivalente delle corporazioni che in altre parti d’Italia operavano analogamente), una sorta di sindacati ante litteram, che si onoravano di autofinanziarsi per costruire chiese arricchite di opere d’arte d’autore, gareggiando tra loro per ricchezza e bellezza, per abbellire la città e da condividere con l’intera cittadinanza.
La lista che segue rende bene l'idea della rilevanza e dell’impegno economico della zona; ne facevano parte, infatti:
gli Ortolani e Pizzicaroli;
i Fruttaroli;
i Sensali di Ripa, mediatori dei commerci locali;
i Molinari - e si capisce, data l'importanza dei mulini sul Tevere nel rifornimento di farine;
i Vermicellari, produttori di paste alimentari;
i Pollaroli;
gli Scarpinelli (ciabattini);
i Vignaioli;
i "giovani", garzoni e lavoranti di diverse università.


Non solo il popolo, ma anche i nobili, i principi e la chiesa, hanno dato il loro apporto e contributo, con opere civili e religiose, castelli e piani architettonico urbanistici di città; tutto interrotto al venir meno del patto tra committenti ed artisti, tanto validi da esser chiamati a lavorare in tutta Europa e perfino oltre gli Urali.


Dopo gli ultimi fuochi di un’arte italiana riconoscibile, con i movimenti dei Macchiaioli e dei Futuristi, l’ultimo movimento artistico sostenuto e condiviso dallo Stato fu il Razionalismo, durante il quale l’architettura tornava ad essere il contenitore sinergico delle altre arti, scultura pittura mosaico.


Ma all’alba della nuova Repubblica, all’indomani della seconda guerra mondiale, in un’Italia immersa nei problemi di povertà e ricostruzione morale e materiale, i nostri padri costituenti, politici illuminati dal sol della cultura, EINAUDI (presidente della Repubblica) - DE GASPERI (presidente del Consiglio) - GONELLA - SCELBA - PELLA - TUPINI - LOMBARDO - FANFANI, il 29 luglio 1949 firmano la legge n. 717 - Norme per l'arte negli edifici pubblici - un testo brevissimo, 3 articoli, (vedi testo legge) che, se non restituisce piena cittadinanza agli artisti, almeno intende mantenere l’impegno dello Stato nel sostenere l’arte nella promozione del bello per il sociale.


L’attuazione della legge del 2%, inoltre, è stata rilanciata da un decreto del Ministero delle infrastrutture approvate il 23.3.2006 e pubblicato sulla G. U. del 29 gennaio 2007, contenente le Linee guida per l’applicazione della legge 29.7.1949 n.717, dal precedente ministro Lunardi; e, in seguito, completate con la circolare 28 maggio 2014, n. 3728.
In definitiva, l’inserimento di opere d’arte negli edifici pubblici obbligatorio per legge, non è assistenzialismo nei confronti degli artisti ma opera sociale, soggetta a regole precise e regolare bando concorsuale. All’italiana, la legge però esclude inspiegabilmente e stupidamente, come rilevato anche da molti architetti, edifici industriali, alloggi popolari, scuole e università, ossia proprio quegli edifici dove l’arte e la bellezza dovrebbero arricchire psicologicamente e pedagogicamente.
Comunque, ogni qual volta la legge è stata messa in atto, ha continuato ad offrire quell’integrazione sinergica tra opere di pittura, di mosaico e di scultura, e l’architettura degli edifici pubblici, come avveniva nei decenni e secoli passati.
Ma la legge, applicata per oltre 50 anni, negli ultimi tempi è stata disattesa; a volte, perché le amministrazioni hanno omesso di darne attuazione per carenza di finanziamento o per dubbi interpretativi. Spesso anche per mancanza di fiducia nel fatto che l’inserimento di opere d’arte nell’edificio potesse essere utile al miglioramento della bellezza dei manufatti architettonici; forse perché avrebbe stonato con la bruttezza delle architetture. Altre volte, il 2% è stato speso in modo distorto, per interventi non configurabili come opere d’arte.
Come dichiarato sul sito dell’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Roma e Provincia, purtroppo, fino ad ora, anche i progettisti hanno ignorato le opere d’arte. Nei progetti, in genere, non c’è stata alcuna indicazione, né in merito al tipo di opera d’arte, né in merito alla sua collocazione nell’edificio. Pertanto, ogni decisione è stata assunta dopo la fine dei lavori di costruzione.
Spesso sono stati acquisiti quadri da appendere semplicemente alle pareti. Con buona pace della integrazione tra arte e architettura. In genere i mosaici e le sculture hanno dimostrato una migliore capacità di rapportarsi all’edificio. Ci sono anche casi esemplari, come il globo squarciato dello scultore Arnaldo Pomodoro antistante il Ministero degli esteri che con il suo impeto si contrappone alla fiacca retorica dell’edificio del ventennio. I mosaici delle stazioni della metropolitana di Roma e ancor di più l’intera riprogettazione delle stazioni della metropolitana di Napoli, sono anch’essi un esempio positivo. Ma tante altre applicazioni sono grossolane o insignificanti.


Poi arrivò l’epoca della 2a Repubblica, e tutto si ridusse ad un’alternanza tra pedissequa conservazione e distruzione del passato.
Non da oggi assistiamo, da un lato, alla sistematica distruzione del paesaggio urbano e naturale, con brutture orripilanti ed offensive del buon gusto, necessità di correre ai ripari e ricorrere ai miliardi (oggi milioni di euro), per i dissesti idrogeologici e la precarietà delle costruzioni; dall’altra assistiamo ad iniziative, quali l’apertura gratuita dei musei, gli sforzi finanziari per Pompei, grandi mostre e poco altro, come se fossero delle operazioni straordinarie, quando, lo straordinario è l’Italia, tutta l’Italia, dove vivere per e con i beni culturali, dovrebbe essere ordinario.
Sostanzialmente l’attività di una classe politica povera di cognizioni culturali e conoscenza del paese, si limita alla conservazione parziale e discontinua, ed alla promozione dell’arte e degli artisti antichi nelle grandi città, dimenticandosi di quelli contemporanei, che ne sono la continuazione, e del 90 per cento dell’Italia, pur ricca di testimonianze artistiche antiche. I precari endemici che escono dalle scuole d’arte, Istituti d’Arte Licei Artistici ed Accademie di Belle Arti sono completamente abbandonati a sé stessi, lasciati in un limbo angosciante ed angoscioso.


L’Italia, del Grand Tour, da decenni, non è più un paese per artisti, pur rimanendo unico grande giardino emozionale diffuso in grado di ispirarne la creatività.

Se cultura ed arte in Italia non se ne mangiano, è perché manca un’educazione “alimentare al bello”; la creatività dei bambini viene soppressa nel momento che mettono piede nella scuola elementare. I giovani, e non solo, sono privi di educazione alla visione, di  conoscenza di storia dell’arte, e geografia per apprezzare il territorio in cui vivono.

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