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Possiamo parlare di fotografia artistica come parliamo di pittura e di scultura?

Gli atteggiamenti degli artisti nei confronti della fotografia

Le reazioni di artisti di altre discipline, come di scrittori, hanno contribuito notevolmente alla percezione della fotografia come arte.
Pittori di spicco, come Francis Bacon e Pablo Picasso, hanno affermato il loro interesse per il mezzo: “ho scoperto la fotografia. Ora io posso uccidere. Non ho niente altro da imparare” così Pablo Picasso.
“Sono sempre stato molto interessato alla fotografia. Ho guardato molto più fotografie che a dipinti. Perché la loro realtà è più forte della realtà stessa” Francis Bacon.
“… mi pare che Capa abbia dimostrato oltre ogni dubbio che la fotocamera non deve essere considerato necessariamente un dispositivo meccanico freddo. Come la penna, è buono come l’uomo che lo utilizza. Può essere l’estensione della sua mente e del suo cuore …” John Steinbeck.
L’immagine fotografica è considerata da gran parte dei critici al pari delle discipline pittoriche. Negli ultimi anni le quotazioni dei maestri internazionali, come quelle degli artisti emergenti sono andate alle stelle. Il panorama si è allargato ed è stato rivoluzionato dall’avvento del digitale che ha moltiplicato in maniera esponenziale le possibilità di ogni artista.
L’oggetto trova una sua dignità, specialmente quando si tratta di un’opera prodotta in tiratura limitata numerata, firmata e certificata. Le Polaroid sono molto ambite, perché garantiscono l’unicità del prodotto, mantenendo prezzi contenuti.

Il vero collezionista dovrebbe verosimilmente affiancare alle tele degli artisti favoriti, anche stampe di autori più o meno famosi.
Il costo dell’opera d’arte tiene anche in considerazione della tecnica di stampa: pari dignità viene data a una stampa su alluminio come ad una stampa ink-jet. In edicola si moltiplicano le riviste dedicate all’arte fotografica, e molte case editrici e produttori di macchine fotografiche organizzano: corsi, concorsi e mostre fotografiche. Sul web, sono ormai migliaia i fotografi che espongono le loro gallerie virtuali. 
L’autorevole rivista Arte dedicò un numero speciale alla fotografia (agosto 2005) per celebrarne il secolo. Ne è uscito un ritratto molto promettente che apre buone prospettive per la dignità di questa forma d’arte che, in passato, difficilmente è stata considerata tale.
Nel periodo compreso tra le due grandi guerre, grazie ai processi tecnici nel campo della fotografia, fu possibile scattare le prime istantanee e realizzare i primi reportages: fotografi professionisti documentarono la realtà attraverso le immagini che venivano diffuse attraverso i giornali. I fotografi di allora si possono quindi paragonare a veristi, che narravano i fatti senza inserirvi impressioni personali.
Parallelamente, soprattutto a partire dall’inizio degli anni settanta, alla comparsa delle prime carte politenate multigradazione e al contemporaneo abbandono di molte carte pregiate per stampa da parte dell’industria fotografica, alcuni fotografi hanno adottato le tecniche storiche già care ai pittorialisti per guadagnare quella libertà espressiva che era giudicata compromessa dal mercato.
La fotografia d’arte vera e propria,viene chiamata anche fotografia di ricerca e ha inizio in Italia verso la fine degli anni 1960. Il punto di riferimento per i giovani fotografi artisti dell’epoca era la galleria il Diaframma di Milano (una delle più antiche gallerie fotografiche in Europa), che chiuderà alla metà degli anni 1990. È in questo periodo che la ricerca fotografica in Italia raggiunge la sua massima espressione. Tra gli esponenti più autorevoli di questo genere fotografico vanno ricordati i fotografi: Mario Giacomelli, Franco Fontana, Luigi Ghirri, Augusto De Luca, Paolo Gioli, Mimmo Jodice.



La pittura e la fotografia

L’inferiorità rispetto alla pittura fu attribuita alla fotografia fin dalla sua prima diffusione. Poteva uno strumento tecnico (chimico/ottico/meccanico) esprimere una sensazione artistica individuale?
A parte le posizioni della chiesa “Voler fissare visioni fuggitive … confina con il sacrilegio”, la resistenza alla diffusione della fotografia ebbe prevalentemente ragioni economiche e sociali. L’affermazione sociale della media borghesia, nei primi anni dell’800, aveva generato un forte aumento della richiesta di piccoli ritratti in forma di miniature, dipinti ad olio, ceramiche, incisioni; con l’introduzione della fotografia un gran numero di ritrattisti: pittori, incisori, miniaturisti, si trovarono ad un bivio: abbracciare la nuova tecnica o perdere clientela. La resistenza non poteva che farsi sentire. Furono probabilmente i pittori meno apprezzati, che poco avevano da perdere, a sposare la nuova tecnologia del ritratto fotografico.
Probabilmente a ragione Charles Baudelaire si scagliava contro “l’industria fotografica, …., rifugio di tutti i pittori mancati, maldotati o troppo pigri per completare i loro studi…” ; ma tale veemenza non era probabilmente rivolta verso la fotografia come disciplina quanto ai suoi primi adepti. Baudelaire era infatti un conoscitore della nuova tecnica fotografica in quanto amico ed ammiratore di uno di questi pittori mancati, Nadar, di cui diceva “…sono geloso nel vederlo riuscire così bene in tutto ciò che non è astratto…”.
E ancora il poeta Lamartine che nel 1858 definiva la fotografia “un’invenzione del caso che non sarà mai un’arte ma un plagio della natura da parte dell’ottica” nel 1859 cambiò diametralmente opinione affermando: “ …[la fotografia] è più di un’arte, è il fenomeno solare dove l’artista collabora con il sole.”
La disputa alimentò se stessa, ma nella sostanza era chiaro che la fotografia avrebbe affiancato la pittura e con essa si sarebbe integrata come dimostrano le ispirazioni reciproche presenti fin dagli esordi.
Per rimanere nel contesto delle amicizie di Nadar, si veda ad esempio la litografia di Édouard Manet in cui il ritratto di Baudelaire appare liberamente ispirato al quarto ritratto che Nadar fece del poeta suo amico.
Fu però László Moholy-Nagy, nelle sue lezioni al Bauhaus, a formalizzare definitivamente il rapporto tra le due arti. “Nel procedimento meccanicamente esatto della fotografia e del cinema, noi possediamo un mezzo espressivo per la rappresentazione che funziona molto meglio del procedimento manuale di pittura figurativa sinora conosciuto. D’ora in poi la pittura si potrà occupare della pura organizzazione del colore”. Anch’egli sostenitore delle ispirazioni reciproche, relativamente all’immagine Parigi, di Alfred Stieglitz, del 1911 commentava: “La vittoria dell’Impressionismo, oppure la fotografia malintesa. Il fotografo si è fatto pittore, invece di usare il suo apparecchio fotograficamente.”
Già dalle lezioni al Bauhaus, attorno al 1925, divenne quindi chiaro come tutte le forme di espressione collaborino nel costituire un linguaggio simbolico condiviso, sul quale si basa la comprensione del messaggio trasmesso dall’artista. Fondamentale, nella dimostrazione di questo concetto, fu però il lavoro di Ernst H. Gombrich che in molti dei suoi scritti ebbe a sottolineare l’importanza di un dizionario simbolico comune, al fine della comunicazione del messaggio artistico. Nel bellissimo “A cavallo di un manico di scopa” (1963) l’autore afferma: “Un’opera d’arte di assoluta originalità – ammesso che sia pensabile – comunicherebbe poco o nulla, e così pure un lavoro di cui si potesse prevedere di tutto punto il carattere.”
Il tempo delle dispute tra fotografia e pittura era ormai ampiamente alle spalle e la fotografia entrava a pieno titolo nelle collezioni dei musei d’arte moderna e nelle aste d’arte.


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