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Italia paese dell'Arte, tragicamente immutabile



Nel 2007 la Commissione Cultura Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati ascoltò: i membri del Tavolo di coordinamento per l’Arte Contemporanea costituito da artisti e critici d’arte di chiara fama, i rappresentanti dei galleristi, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, di Federculture, dei critici d’arte, degli Assessorati alla Cultura degli Enti Locali, dei giovani artisti, delle Facoltà Universitarie di Architettura che ebbe il merito di sollecitare l’iniziativa parlamentare.
Ne venne fuori una Relazione prodotta dal Tavolo di lavoro “Per l’arte contemporanea” intitolata: “Indagine conoscitiva sulle problematiche connesse al settore dell’arte figurativa italiana, con particolare riferimento alle condizioni della sua esistenza e sviluppo”
Le cui informazioni raccolte avrebbero dovuto costituire la base per l’elaborazione di un progetto di legge. Che fine fece?


Le “arti figurative” e lo Stato

Vogliamo qui rileggere l’incipit con il quale apriva il documento che abbiamo inviato a tutti i Deputati e Senatori della Repubblica in occasione del dibattito sulla “Legge finanziaria” nel novembre del 2006, lo facciamo per confermare le ragioni della nostra presenza e l’atteggiamento che abbiamo assunto. Dicevamo in quel documento: “I sottoscritti artisti delle arti figurative, i curatori, i critici e storici dell’arte, consapevoli della ineludibile necessità di riportare la vita del nostro Paese ad una sana norma, anche sul terreno della correttezza fiscale, che renda il paese più equo e favorisca lo sforzo che l’Italia deve fare per tornare ad essere competitiva in Europa e con l’Europa nel mondo, in un’epoca che impone di affrontare la sfida della crescente globalizzazione multietnica, ritengono che il “sistema dell’arte” italiano debba fare la propria parte. Essere competitivi, in un’epoca di globalizzazione, significa anche proporre l’identità del nostro Paese in un processo che rischia di appiattire le varie identità su un unico modello di sviluppo. Pertanto, pur consapevoli delle proporzioni e delle implicazioni vaste dell’attuale legge finanziaria, riteniamo necessario suggerire che essa assuma, nell’architettura portante della propria ispirazione, un concetto di portata identitaria, per cui l’arte e la cultura siano da considerarsi Bene sociale e non Bene di consumo.” Se quell’auspicio non è stato tradotto in norme nel corso della definizione della “legge finanziaria”, e sappiamo che sarebbe stato troppo attenderlo realmente, ci è stata però offerta questa occasione che riteniamo di straordinaria importanza. Per questa ragione vogliamo ripetere a tutti i membri della Commissione quanto avemmo modo di dire a Lei, On. Presidente, che contrariamente alle nostre attese fece il significativo gesto di riceverci e ascoltare le nostre idee e proposte: “Il mondo dell’arte contemporanea e, in particolare gli artisti, non nutre più la speranza che lo Stato affronti le condizioni nelle quali vive, nelle quali crea valori d’arte, cultura ed economia”. Dicemmo allora, On. Folena, della sfiducia che si nutriva per la “politica”, e che intravedevamo in quell’incontro un filo di speranza, che ancor più confermiamo per questa occasione che viene offerta, quale un’estrema opportunità per le Istituzioni repubblicane di arginare una deriva di pessimismo motivato verso lo Stato; Stato del quale, invece molti artisti, molti critici e esponenti di altre professionalità che operano nel settore si sentono parte e rafforzano con il loro lavoro artistico o intellettuale.
On. Deputati, sappiate che le stesse “illegalità” che, nel corso del tempo, si sono andate espandendo in questo nostro settore, nel commercio dell’arte, nelle professioni che la riguardano, trovano la principale causa in questa assenza di attenzione sensibile delle istituzioni verso le “arti figurative”, e non solo sul terreno della normativa fiscale. Grazie se saprete invertire sensibilmente e con atti concreti e coerenti questa giustificata sensazione di abbandono, di scarsa sensibilità culturale che gli organi dello Stato e molte istituzioni d’arte hanno manifestato verso il paese, verso dei protagonisti veri della sua vita culturale.
Come ebbe a scrivere Gino Severini, subito dopo che il nostro paese si fu liberato dalla tirannia e dall’occupazione militare, “la natura del lavoro degli intellettuali e degli artisti è tale che merita di essere considerata e studiata a parte, se si vuole includere organicamente quel lavoro, che deve essere assolutamente libero, in un ordine sociale.”. Poi, rivolgendosi al proprio mondo, aggiunse: “Sarà quindi prudente che gli artisti stessi provvedano a difendersi contro ogni minaccia alla loro libertà, contro lo sfruttamento di ogni natura, contro il mercantilismo esagerato, le persecuzioni fiscali, e le burocrazie statali … . Bisognerebbe anche mettersi in grado di evitare le umiliazioni alle quali la “Società” moderna sottopone spesso gli artisti …”. Sono passati 62 anni da quando vennero scritte queste idee, e trenta da quando l’Unesco, decise di organizzare un congresso finalizzato “… a creare un quadro giuridico a livello nazionale e internazionale propizio allo sviluppo della creatività e della pratica dell’arte ….”.
Ebbene, non possiamo dirci soddisfatti di quanto è avvenuto nel frattempo in Italia. Eppure, se l’Italia è un paese autorevole nel mondo lo deve in parte non marginale al patrimonio d’arte che ha saputo produrre, al fatto che nei secoli gli Stati che hanno retto le sorti della nostra penisola, il potere economico e politico, quello religioso e privato hanno investito nell’arte e sugli artisti loro contemporanei.
Oggi, “Arte” è una parola che sembra assumere contorni imprecisi, pare far riferimento a tutto e di più; viene chiamato artista il cantante di musica pop, il giocatore di calcio, lo stilista, il partecipante ad un qualsiasi reality, ecc.; è chiamato artista anche un presentatore di festival, un conduttore di trasmissioni di spettacolo.
Ma è così che deve essere? È così che vogliamo che sia?

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