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Riflessioni sul rapporto tra fotografia artistica ed architettura

Calabria: Verbicaro

Il Fotografo artista, interpreta l’architettura tramite le tensioni umane che la costituiscono endogene ed esogene; la città e le sue architetture, non hanno un’unica personalità ma sono personalità composite: quella dell’architetto progettista, quella di chi le usa, dei luoghi che le ospitano.

Ma architetture e città quale personalità hanno: quella dell’architetto progettista o quella di chi le usa?

E quando, al posto dell’architetto si sostituisce il geometra, l’abusivismo e al posto dell’urbanista la spontaneità popolare di necessità (?), diffusa e disordinata della brutta periferia?

Come avviene nel ritratto delle persone, altrettanto avviene nel ritratto delle architetture: non esiste la fotogenia ma la ricerca del lato migliore.

Incredibile ma vero, un’architettura o un paesaggio urbano, pur brutti e di poca personalità, diventano belli ed interessanti dal momento in cui un fotografo artista le offre la sua attenzione, inquadrandola nel mirino della sua macchina fotografica.

Il fotografo artista, con la sua personalità e sensibilità comunque informata dal senso di bellezza, non può che restituire un’espressione artistica, fatta di interpretazione soggettiva, al contrario del documento oggettivo dell’opera.

In realtà non è possibile distinguere automaticamente le due cose.

La fotografia, per sua natura, dalla nascita ha combattuto e vinto, la sua guerra per essere riconosciuta come arte, perché né la documentazione, né il mero trasferimento visivo della realtà sono mai stati i suoi orizzonti, bensì quella “tensione umana” di cui parla il pittore americano.

Ma come spesso è accaduto, la fotografia, oltre a rendere concreto il linguaggio artistico personale dell’autore si è fatta carico, come mezzo di comunicazione, di soddisfare la necessità di rappresentazione, ricerca e diffusione, nelle varie aree espressive.

Così come nel design e nella moda, l’assist della fotografia artistica ne ha contribuito la creazione di un immaginario collettivo e la fortuna economica e culturale anche la sua influenza sull’architettura ha costruito l’idea che abbiamo dell’architettura stessa.

Le Corbusier con Lucien Hervé, scoperto quasi per caso dall’architetto nel 1949.

Hervè spedì le sue fotografie della Cité Radieuse a Le Corbusier; fotografie che non avevano la funzione di capire le intenzioni reali dell’architetto, ma le immagini ritraevano la materia, viva e dinamica come Le Corbusier l’aveva pensata, e mai vista in fotografia. Così Le Corbusier scrisse a Hervè: “Lei sa vedere l’ architettura, venga a trovarmi…”.


Lucien_Herve

Da una fotografia che crea una visione della forma, e una visione che forma il fotografo in linea con una “filosofia”, ricaviamo le suggestioni per iniziare ad avere un’idea del rapporto tra le due Arti.

La pericolosità, motivo per comprendere alcune resistenze degli architetti è che, se “attraverso la fotografia, l’architettura entra nel dominio delle arti visive allora si viene a stabilire una diversa relazione tra il nuovo autore fotografo, l’opera architettonica ritratta e l’autore architetto, rimanendo quest’ultimo spodestato in quanto autore primario.

Come osserva Mimmo Jodice: la fotografia di architettura “appartiene più intimamente all’autore, al fotografo che non all’architetto, pur rappresentando dei pezzi di architettura”.

La fotografia, quindi, è una forma autonoma dove il rimando all’architettura, al pari di ogni altro soggetto fotografato, diventa lo spunto per il fotografo-artista, per trovare nella forma architettonica l’espediente per la sua autonoma ricerca; il che non esclude, che da tale ricerca, non arrivino contributi o valori aggiunti dell’architettura, e che, attraverso la rappresentazione delle forme, non ci sia una perfetta trasposizione in realtà di un pensiero nato dall’immaginazione del progettista.
Ma a questa analisi, bisogna aggiungere il contributo offerto all’architettura dal suo “Luogo”, nel rapporto tra la fotografia e il paesaggio; quando il fotografo allunga sguardo, fa un paio di passi indietro, inserendo, di fatto, lo sguardo dall’architettura verso il paesaggio costruendo una sorta di punto territoriale, cartografia ma senza punti di riferimento specifici, che riguarda più la percezione di un luogo che non la sua catalogazione o descrizione.

Ora è il mezzo fotografico che veicola le opere della Land Art che affronta i territori della metropoli, delle periferie urbane, delle mescolanze e delle diaspore delle popolazioni del pianeta, che porta alla comprensione visiva dei territori contenenti i paesaggi industriali e le aree di archeologia industriale e dei terreni da riqualificare. 

Dobbiamo alla fotografia l’individuazione di nuovi ambiti, di una possibile progettualità, nel contraddittorio e drammatico panorama delle trasformazioni del nostro pianeta.

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