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Cucina italiana è una delle più diffuse e apprezzate nel mondo


"Gli animali si cibano,
l'uomo mangia,
ma solo l'uomo spirituale
sa mangiare"

(Anthelme Brillat-Savarin)

Nella classifica dei migliori ristoranti del mondo, stilata dalla rivista specializzata Restaurant Magazine in base al giudizio di 300 fra chef e critici gastronomici, 4 locali italiani figurano nei primi 50 posti.
Nel mondo la cucina italiana è una delle più diffuse e apprezzate.
Ma in tempi di globalizzazione e di fast food come difendere la migliore tradizione gastronomica nazionale?

Ma conosciamo la cucina italiana?

La cucina è stata paragonata al linguaggio in quanto, come questo, possiede vocaboli (i prodotti e gli ingredienti), usati secondo le regole di una grammatica (ricette) e di una sintassi (menu), fino alla retorica dei riti conviviali; il tutto con trasmissione di valori simbolici, deposito di tradizioni e di identità individuale, familiare, di gruppo e sociale.
Si formano così dei "sistemi" culinari, ognuno dei quali ha una propria struttura, determinata sia dalle tecniche di cottura e di presentazione dei cibi, sia dai prodotti di base disponibili nelle forme in cui sono presentati.
A quest'ultimo riguardo intervengono le capacità di chi cucina e la qualità degli alimenti, in modo particolare quelli che hanno caratteristiche derivanti, in senso lato, dal territorio.
Tuttavia la cucina, come il linguaggio, è anche arte e, soprattutto, gusto.
Il quadro odierno è indubbiamente di crisi e sempre più diffuso è un "disagio", che porta a chiedersi come proteggere e salvaguardare le abitudini e le tradizioni culinarie italiane, con le loro caratteristiche nazionali e regionali, dai rischi connessi con la globalizzazione e i ritmi veloci che la vita ci impone.
Ma, innanzitutto, gli italiani conoscono la cucina italiana?
È una domanda forse provocatoria, ma non tanto, se si pensa all'attuale momento nel quale molti lamentano l'erosione di un'identità nazionale e si sente sempre più parlare di Cucine Regionali e di Dieta Mediterranea. Sull'argomento è in corso un intenso dibattito, al quale partecipano antropologi, storici, sociologi, economisti e, soprattutto, gastronomi, uomini di cucina e, non ultimi, i più importanti protagonisti: i consumatori.
Tutti parlano di cucina, spesso non consapevoli del cosa significhi buon cibo.
Il dibattito sta mostrando come il cibo sia un deposito di tradizioni ma anche un importante mediatore tra culture diverse, che si apre a invenzioni, incroci e contaminazioni.
L'interesse per la cucina, anzi per le cucine, è la migliore dimostrazione di quanto questo sia un elemento importante per approfondire la propria identità culturale e tentare un alimentazione informata; un interesse rivolto sia al passato (voglia di tradizione), sia al futuro (voglia di innovazione).
Per diverso tempo, e a ragione, si è sostenuto che in Italia esistessero soltanto cucine territoriali, da quelle regionali fino alle cosiddette cucine del campanile.
Per molte zone, inoltre, si tendeva a differenziare la cucina di città da quella di campagna e di montagna, con variazioni talvolta minime ma non trascurabili. D'altra parte, non si può negare che, dall'unità del Regno d'Italia in poi, vi sia stata una certa unificazione ed integrazione tra le cucine regionali, causata dagli spostamenti delle popolazioni.
In modo analogo, e di pari passo con la progressiva scomparsa dei dialetti dall'uso comune, si sarebbe perduta anche la tradizione della cucina regionale.
La costruzione di una cucina nazionale - fenomeno innegabile - è stata favorita dalle migrazioni da una regione all'altra: dapprima di famiglie della classe dirigente e della borghesia (prima metà del 1900), poi di grandi masse di contadini che dal Meridione si sono trasferite nelle città del Nord (a partire dagli anni 1950). 
Complici di questo processo di unificazione culinaria, sono stati inizialmente alcuni libri di ricette (da quello di Pellegrino Artusi a quello di Ada Boni, solo per citarne due), poi i giornali e le riviste e soprattutto la televisione, anche qui ripetendo il parallelo tra linguaggio e cucina.
La Cucina Italiana, tutt'ora in evoluzione, parte solo da radici territoriali e quindi da un'identità interna al territorio?
Può essere rappresentata, ad esempio, solo da un menu nel quale l'antipasto di salumi padani preceda un primo di ribollita toscana, per poi passare a un abbacchio a scottadito con le puntarelle romane e, dopo un pecorino sardo e un pane pugliese, approdare a una cassata siciliana per finire con un caffè alla napoletana?
Forse, ma non soltanto.
Come è stato più volte sottolineato, identità e tradizione si associano sempre, quando vi è un confronto con imitazioni e influenze esterne, sia con l'introduzione di alimenti, sia con tecniche di cucina, stili alimentari e di presentazione in tavola, per dare luogo a quella che è stata felicemente denominata "cucina dello scambio". 
Non dimentichiamo che ogni tradizione è frutto - sempre provvisorio - di innovazioni e soprattutto di scambi e ibridazioni, che si sono poi inclusi, divenendo tradizione.
Scambi e ibridazioni che possono avvenire soltanto in presenza di precise e forti identità.
Che cosa sarebbe la cucina di tutte le regioni italiane, solo pensando agli ultimi secoli, se non avesse introdotto il riso, il pomodoro, la patata, la zucca, il mais e, nelle regioni settentrionali, l'olio di oliva e il grano duro, con tutto quanto vi è connesso?
Innovazioni e scambi con altre culture culinarie, nel passato, non hanno distrutto la Cucina Regionale, anzi l'hanno meglio tipizzata, in quanto, il nuovo è stato incorporato in una solida e ben identificata base territoriale, di cui sono preziosi indicatori i prodotti tipici, dai formaggi ai salumi, dalle carni agli ortaggi e ai frutti di produzione locale, senza dimenticare la loro trasformazione in piatti e menu tipici e tradizionali.
Nella costruzione della Cucina Italiana, identità e scambio giocano un ruolo indispensabile, in un processo che avviene a diversi livelli: nelle cucine casalinghe e in quelle della grande ristorazione; mediante il passaparola, tramite la carta stampata e la televisione o con i dibattiti sul cibo.
Questa costruzione, in continuo divenire, passa attraverso il lavoro tradizionale dei "maestri di cucina" (perché usare il termine straniero chef?) che operano nei ristoranti, dove si conserva la tradizione, la si interpreta e si effettuano ibridazioni e innovazioni. 
Altrettanto importante è l'altra strada, sotto un certo aspetto innovativa, delle scuole di cucina, a tutti i livelli. 
Un tempo erano sufficienti la scuola familiare, nella quale la madre insegnava alla figlia, e la scuola del cuoco, nella quale, come nella bottega d'arte, il maestro insegnava agli allievi.
Oggi sono richieste, anzi necessarie, scuole di cucina sia a diversi livelli professionali, sia di tipo amatoriale.
Nel complesso quadro tratteggiato, la principale, se non l'unica, carta vincente che la Cucina Italiana sta dimostrando di possedere, ma che deve sempre più valorizzare, facendone il suo principale elemento di identità, è il gusto italiano della tavola.
Particolarmente per chi la vede dall'esterno, l'Italia è identificata da un elevato e tipico gusto, che da secoli si è manifestato nelle arti e più recentemente nella moda, ma anche nella buona tavola.
Mangiare all'italiana era un segno di distinzione nell'alta gastronomia rinascimentale; ancora oggi, forse maggiormente, il Gusto Italiano della tavola è l'indispensabile elemento d'unificazione della nostra cucina e anche un importante strumento di diffusione dell'immagine e della cultura italiana nel mondo. (continua a leggere su Treccani.it)

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