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Abruzzo: L’Aquila dopo il terremoto


L'Aquila (Aquila fino al 1863 ed Aquila degli Abruzzi fino al 1939) è il Comune capoluogo dell'omonima provincia e della regione Abruzzo.

I nuclei di Amiternum e Forcona, i principali centri urbani anticamente presenti nella zona dell'odierna L'Aquila, hanno origini sabino-vestine, trovandosi presso il confine dei territori occupati dai due popoli italici. 

Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, nella conca aquilana si formarono diversi piccoli agglomerati urbani, detti castelli, che secondo la leggenda si federarono per la fondazione della nuova città nel 1254. 
Sotto il dominio Asburgico dei 1500-1600 visse un periodo di altalenante crescita economica che sarà però bruscamente interrotta dal terremoto del 1703, che per molti anni riporterà la città nella decadenza.
Conobbe infatti un nuovo sviluppo economico e culturale soltanto nel 1800.


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«Racconti di Viaggio»

Quelli che seguono sono estratti dall'articolo “Le vestali della città del silenzio” di Paolo Rumiz del 12 agosto 2011, facente parte del reportage “Le Case degli Spiriti pubblicato a puntate sull'inserto R2 del quotidiano la Repubblica.

«[...] cominciammo a parlare a bassa voce senza ragione apparente. 
Non volevamo disturbare il letargo delle pietre, e ci bastava un bisbiglio per capirci. 
In zona rossa all'Aquila si entra e si tace. 
Ci si lascia la vita alle spalle. 
In zona rossa un colpo di tosse è un tuono, il trillo di un telefonino un rimbombo [...]»
«[...] Ai piedi dei muri transennati di Santa Maria Paganica solo la fontanella cantava [...]» con un'improbabile tartaruga poggiata sul bordo, 
«[...] fra il portale trecentesco della chiesa e la soglia barocca del dirimpettaio palazzo Ardinghieri, venerabile magnificenza dal tetto sfondato [...]».
«[...] la bionda Nicoletta Rugghia mi versò del Montepulciano e fece un memorabile elenco di ciò che era per lei la vecchia Aquila. 
Città, disse, è la vicina malfidante che spia dalle persiane, è lo sfaccendato, è il ciclista monomaniaco, è la signora invidiosa dei vasi di fiori altrui. 
Città è il dirimpettaio arrogante, il fornaio che ti frega cinque centesimi al cartoccio; città è gli sposini timidi, il postino che canta sempre, il collezionista di francobolli. "Città è questo, questo io amavo. 
E questo oggi non esiste più". 
Fuori l'aria era tiepida, ma la città era fredda. 
Sfiatava miasmi umidi dal fondo dalle sue cantine. 
Fu allora che Patrizia mi svelò uno dei mirabili segreti della sua città. 
In via San Martino angolo via dei Lombardi, in piena zona rossa, tra le macerie di altre case, c'era un palazzo quattrocentesco intatto, appartenuto a tale Jacopo di Notarnanni. 
Ciascuno spigolo mostrava due piccoli gigli in ferro battuto. 
Erano abbellimenti delle catene antisismiche tese da secoli dentro i muri maestri. 
Poi vidi che ce n'erano dappertutto in città, seminascosti dai ponteggi. 
Erano una decorazione, disse Patrizia, ma anche un ex voto. 
Un simbolo di purezza dedicato alla madonna, perché il terremoto del 1703 era avvenuto il 2 febbraio, giorno della Candelora. 
Erano stati quei gigli incatenati fra loro a salvare molte parti dell'Aquila nel 2009. 
Ma vallo a spiegare ai talebani dell'antisismico, invasati da furia risanatrice [...]».

(da «Viaggio in Italia» di Guido Piovene)

«[...] Una luce già di montagna splende nelle vie de L'Aquila, e penetrando anche nei vicoli più stretti dei quartieri vecchi, porta uno scintillio nell'ombra.
Dovunque si sente lo spazio.
Perciò L'Aquila e gaia.
Posta ad oltre 700 metri, il più alto, se non erro, tra i capoluoghi di provincia italiani dopo Enna e Potenza, è una città che respira.
Lo sguardo, appena trova un varco, subito va lontano, con l’immediatezza di un corpo sommerso che viene a galla, fino al Gran Sasso ed al Sirente, dominanti la vasta conca.
I portici e i molti caffè sono pieni di folla; dal centro si raggiungono senza fatica grandi giardini panoramici. 
È una specialità della vita italiana avere raramente l'aspetto infelice. 
La prima impressione de L'Aquila è questa facilità di respiro. 
Poi, una fastosa edilizia recente, banche, cinematografi, compagnie di assicurazione, di un numero è di una mole che sembrano sproporzionati.
Lo stile rivela che furono concepiti in anni fascisti. 
Una piccola Roma ministeriale e funzionaria si è sovrapposta alla vecchia città. 
Basta però girare dietro questa facciata perché riemerga intorno cordiale e sincera L'Aquila d’una volta.
Non si può chiamarla antica, se si eccettuano alcune oasi monumentali. 

La maggior parte dei palazzi va dal Rinascimento tardo al Barocco, pochi sono gli avanzi gotici, per lo più incamerati dentro muri di un altro stile. 
Negli edifici sono scritte le vicende agitate non soltanto dell'arte, ma della storia dell'Abruzzo. 
È questa la nostra regione che fu più devastata dai terremoti; nessun centro ne rimase esente, e L'Aquila ne subì una serie. 
Così l'arte abruzzese appare come smozzicata dai cataclismi, e ciò che oggi noi vediamo è un avanzo. 
L'Abruzzo, come tutti sanno, ebbe nel Medio Evo i secoli più felici, quando tutta l'Italia partecipava in modo equo ad una civiltà diffusa; ma divenne provincia quando la civiltà italiana cominciò ad accentrarsi nei vertici dei grandi centri. 
La grande arte si arrestò alla fine del Quattrocento. 
Perciò i terremoti infierirono su quanto l'Abruzzo aveva di meglio. Anche la parte nobiliare de L'Aquila è in buona parte rifatta, sebbene ormai da qualche secolo.
Delle ricostruzioni dopo i disastri reca tuttavia l’impronta. 
Si avverte l'intervento degli imprenditori, che usavano lo stile in voga. 

Le date dei terremoti più catastrofici vollero che abbandonasse, qui ed in quasi tutto l'Abruzzo, un barocco che si direbbe oggi commerciale e di serie, adatto però a soddisfare le esigenze del fasto. 
Pure non è possibile camminare in alcune parti della città, come quella in cui sorgono il Palazzo Rivela ed il Palazzo Dragoni de Torres, senza subire l'attrattiva di un contrappunto tra edifici barocchi, residui di costruzioni anteriori, improvvise aperture sulle montagne circostanti. 
Vi sono poi le oasi dei monumenti che sfuggirono ai terremoti, come Santa Maria di Collemaggio, contemplante il Gran Sasso, con una stupenda facciata romanica di due colori, bianco e rosso, che si confondono in un riverbero rosato.
O edifici di epoca più vicina alla nostra, come San Bernardino, anch'esso tra il Rinascimento e il Barocco. 
San Bernardino morì a L'Aquila, onde la disputa con Siena, che ne rivoleva la salma; la quale invece qui è rimasta, in un ricco sepolcro, quasi un tempio nel tempio. 
Dovunque San Bernardino ha lasciato il suo segno, una sigla in tre lettere, quell’IHS che significa: Iesus hominum salvator. 
Essa si ripete a L'Aquila centinaia di volte, su ogni chiesa, palazzo o casa, con un fregio decorativo, come un fregio decorativo. 
Santo gradito a tutti, anche alle sinistre, perché classificato tra i santi «progressivi», San Bernardino ebbe nel 1950 una grandiosa processione che tutti a L'Aquila ricordano. 
La mummia fu portata scoperta per le vie, e ricondotta in chiesa dove restò qualche tempo visibile. 
Gli Aquilani parlano ancora di un memorabile concerto nel tempio. 

L'orchestra suonava e la salma si vedeva di sbieco tra i marmi scolpiti e gli ori. 
Il tempio di San Bernardino, ricco di opere d'arte, vastissimo, bianchissimo, d’un bianco sapientemente rialzato con ori e argenti nel soffitto, con rossi chiari e con verdi nelle pareti, emana la suggestione narcotica dei grandi spazi regolari, ed ancora più che una chiesa si direbbe uno splendido salone per concerti; forse per rammentarci che, come vedremo, L'Aquila è tra le nostre città più musicali. 
È anche una città con 52 chiese, 6 conventi di suore e 6 di monaci, e un clero influente nella vita pubblica. 
I notabili della città e proprietari dei palazzi nel dopoguerra invece emigrarono tutti a Roma, lasciando quei palazzi chiusi, per alcuni mesi all'anno. 
Il palazzo aquilano, sorto sulle rovine, è in genere più curato all'esterno che dentro; la facciata e il portale sono la parte più cospicua. 
Se vi si penetra però si trovano il «salotto verde», il «salotto giallo», secondo il colore dei vecchi damaschi che coprono le pareti, ritratti di cardinali, piccole pinacoteche, forse non senza qualche copia, ed una nobiltà che si vanta di origine più antiche di quella romana.
Poco industriale, è circondata di terre scarsamente fertili, L'Aquila è una città di funzionari ed impiegati, come si vede dalla folla sotto i portici e nei caffè. 
Pescara oggi l'unica città abruzzese che, grazie anche all'immigrazione dei nordici, abbia concetti e attitudini commerciali. 
L'Aquila è invece impiegatizia, ed anche i commercianti, mi è stato fatto osservare, possono dirsi stipendiati, riscuotono il 28 del mese, quando i loro clienti ricevono lo stipendio. 
Non soltanto motivi di prestigio e la maggiore dignità di cultura e di storia hanno resto perciò L'Aquila intransigente quando quanto quando Pescara le ha conteso la supremazia regionale con i relativi uffici. 
Nella situazione attuale la città non potrebbe sopravvivere che come capoluogo della Regione. 
La disputa è accantonata. 
È uso comune in America che capitale burocratica di uno stato non sia la città più attiva per industrie e commerci, cominciando da Washington in paragone di Nuova York; L'Aquila è la piccola Washington dell'Abruzzo. 
E, come è costretta a difendere il suo primato regionale, è costretta a resistere a quelle tendenze centrifughe che sono, lo abbiamo già detto, caratteristica Abruzzese. 
La provincia de L'Aquila ha due zone agricole ricche, quella del Fucino e la plaga intorno a Sulmona; esse aspirano ad affrancarsi e a divenire provincia; Sulmona addirittura pone tra L'Aquila e Pescara la sua candidatura a capoluogo regionale. 
Se questi distacchi avvenissero, L'Aquila perderebbe quasi tutto il suo patrimonio. 
Non molto rimane da aggiungere sull'economia aquilana. 
La disoccupazione, come in tutta Italia, si deve in parte alla scarsezza di manodopera educata e specializzata. 
Il turismo può svilupparsi. 
La gita abituale dell'Aquila e Campo Imperatore tra le nevi e le rupi del Gran Sasso, servito da una splendida funivia. 
L'inaugurazione risale ad oltre ventun anni fa.
E forse L'Aquila è la prima delle città italiane da noi visitate in cui gli anni fascisti hanno lasciato impronte maggiori e più vistose del dopoguerra.
Le persone più responsabili del benessere cittadino mi hanno fatto notare senza troppi eufemismi le non ottime condizioni dell'economia aquilana. 
La città è circondata, si è detto, di terra povera; grava inoltre sulla provincia la montagna depressa.
Vera industria non potrà sorgere, mi fu aggiunto, se L'Aquila non sarà tolta da un isolamento che dura ormai da circa quattro secoli e mezzo, mediante più spedite vie di comunicazione.
Di fronte alla mediocre situazione economica lo stato della civiltà e della cultura presenta invece sintomi favorevoli, certo senza eguali in Abruzzo. 
Culturalmente L'Aquila è più su della media delle città di provincia italiane.
Si è detto che l'Abruzzo non possiede un’università, che attiri a sé le forze intellettuali, e contribuisca a formare una coscienza regionale. 
Un nucleo esiste all'Aquila. 
L'università dell'Aquila non è ancora riconosciuta. 
Lo sarà, limitandosi forse le facoltà di magistero. 
Alcuni ambiscono una facoltà di geofisica, ricordandoci che l'Abruzzo è forse la nostra regione che presenta all'osservatore elementi più ricchi e vari per questo genere di studi. 
(Come curiosità rammento che un colossale mammut, a cui gli specialisti assegnano mezzo milione d'anni, fu ritrovate a quindici chilometri da L'Aquila. 
Si cerca ora di trovare una sede a un così degno scheletro).
Ma L'Aquila è anche una sede che dovrebbe tentare gli studiosi dell'arte. 
Poche regioni come questa, i cui monumenti più insigni furono assaliti dai terremoti, necessita di restauri, soprattutto di quelli intensi e riportare edifici famosi al loro aspetto originario liberandoli dai deturpamenti delle ricostruzioni. 
Un soprintendente, il Chierici, ha lasciato una forte traccia; si deve a lui tra l'altro il ventennale restauro di San Giovanni in Venere e l'inizio di quello grandioso del Duomo di Atri, di cui abbiamo già parlato. 
L'attuale soprintendente, De Logu, oltre a continuare ad Atri quest'impresa di grande impegno, ne conduce altri due: il restauro del grande castello di Celano, in prossimità del Fucino, e della chiesa di San Pietro ad Alba Fucense, dove, per la parte archeologica, opera invece una missione dell'Accademia belga. 
La rovina di questa chiesa romanica ma su basi romane è recente perché risale al terremoto del 1915; tutti i pezzi rimasero, perché un custode appassionato spese la propria vita a difendere i ruderi. 
Si avrebbe una sorpresa se si facesse un censimento delle opere d'arte salvate dalla distruzione per la difesa di individui isolati, spesso umili, spesso maniaci, soli nell'indifferenza altrui. 
Nessuna ragione poi ha più bisogno di musei. 
Le opere d'arte deperiscono perdute nei villaggi alpestri; e già si è visto come il grande patrimonio delle arti minori, massimo vanto dell'Abruzzo, sia stato in buona parte dilapidato, senza che ne siano rimaste collezioni complete sia pubbliche che private. 
Fanno eccezione le ceramiche, grazie a una grande collezione privata, quella del barone Acerbo. 
Ma la stessa pittura, e in genere latte abruzzese, sono tuttora un campo vergine per gli studi. 
Questo ci riconduce alla scarsa coscienza di se stesso, al vuoto creatosi negli studi, che l'Abruzzo sta superando.
Del massimo pittore abruzzese, Andrea Delitio, fiorito nel secolo XV, si sa che fu educato fuori e probabilmente a Firenze, per poi rientrare nell'Abruzzo tornando ai modi provinciali; ma poco di più è conosciuto.
Un importante avvio alla migliore conoscenza dell'arte dell'Abruzzo è ora il museo de L'Aquila. 
Fu, prima della guerra, un museo civico in cattivo stato ed in sede inadatta. 
Il castello che domina la città e fronteggia il Gran Sasso, splendida costruzione militare spagnola includente un palazzo, uno tra i capolavori di architettura militare del Cinquecento, era divenuto caserma e sede del presidio. 
Abbandonato all'armistizio ed occupato dai tedeschi, alla fine delle ostilità si trova finalmente libero; fu restaurato e trasformato in museo, oltre che in magnifica sede della soprintendenza. 
Il castello, dopo i restauri, e d’alto interesse per sé, con i suoi vasti sotterranei il suo gioco di feritoie, oggi spiragli panoramici; ed il museo, ben ordinato, con abbondante spazio per allargarsi, può essere il nucleo di un grande museo d'Abruzzo. 
Già ben rappresentata vi è la scultura in legno, in cui l'Abruzzo emerse, e quella pittura abruzzese, che subì ogni genere di influenze, ma che conservò un proprio stile. 
Curiosità della fortezza è una sala esattamente disegnata a forma di liuto. 
Uno schema che corrispondeva a necessità militari fu trovato così sorprendentemente adatto ad una sala da concerti. 
Quella sala divenne un auditorium degno di una metropoli e di grandi pregi acustici. 
La società dei concerti de L'Aquila, nata nell'immediato dopoguerra, e precisamente nel 1946, per opera del musicologo Nino Carloni, ha oggi vita fiorente ed i suoi concerti sinfonici, corali e da camera sono di alta qualità. 
L'Aquila è una delle poche città italiane che partecipa la cultura musicale europea. 
Amante della musica, essa reagì con la appassionarsi ai concerti al declinare del gusto per il melodramma, a differenza di altre regioni come le Marche e l'Emilia, legate al melodramma e alle sue vicende. 

Nel dopoguerra dunque, se L'Aquila non ha segnato grandi novità economiche, ha invece segnato una forte ripresa nel campo della cultura.
Conferma la nostra opinione, che la nostra cultura si dovrà rinsanguare con le forze latenti delle nostre province, e che occorre perciò assisterle e non disperderle.
L'Aquila ha anche un eccellente attrezzatura per gli sport e una nota piscina; ma queste opere nacquero in altra fase della storia, insieme con i palazzi bancari e la funivia del Gran Sasso [...]»

(da «Viaggio in Italia» di Guido Piovene - 1950 - pagine 557 a 562)

(Il Mulino - «Viaggio in Italia»)
 
«La notte del 6 aprile 2009, alle 3 e 32, un sisma di magnitudo 6,3 con epicentro a Colle Miruci, comune dell'Aquila, provoca 309 vittime, oltre 1500 feriti e circa 70.000 sfollati.
Quasi nove anni dopo, il terremoto è presente in ogni strada nel centro, nei discorsi delle persone, negli articoli dei giornali locali.
Anche dopo il sisma che nel 2016 ha distrutto Amatrice e altri Borghi vicini, la terra continua a tremare nell'Appennino centrale, minando la fiducia delle comunità locali impegnate nei processi di ricostruzione.
Le tensioni sulla sicurezza degli edifici scolastici logorano la tenuta di un clima sociale già sfibrato da anni di difficoltà.
La ricostruzione del centro storico dell'Aquila e delle altre località colpite dal sisma del 2009 era stata a lungo paralizzata da problemi politici e amministrativi.
I ritardi e gli errori della prima fase provocavano frustrazioni e proteste diffuse.
Il rischio di ricostruire una città destinata a rimanere vuota appariva molto concreto (si veda F. Erbani, “Il disastro. L'Aquila dopo il terremoto: le scelte e le colpe”, Laterza, 2010).
La svolta è giunta con la restituzione dei poteri alle autorità locali e si deve principalmente a Fabrizio Barca, il quale, come ministro della Coesione territoriale con delega per la ricostruzione dell'Aquila, è riuscito a sciogliere i nodi che bloccavano i processi.
Cruciale nel nuovo approccio è la decisione di una quota dei fondi per la ricostruzione al finanziamento di un programma di sviluppo dell'area colpita, affidato a un Tavolo permanente con le istituzioni locali e le organizzazioni sociali, sotto la regia della Regione Abruzzo.
I primi risultati sono già visibili.
L'Aquila è oggi una città viva:
Fuori dal centro ricostruzione è quasi ultimata e anche dentro le mura si scopre un mondo in rinascita.
Ogni settimana aprono nuovi locali, soprattutto bar e ristoranti; le serate sono piene di giovani nella movida tra Piazza Chiarino e la Fontana Luminosa.
Un bando per stimolare la nascita o il ritorno delle attività economiche nel centro storico ha avuto un successo superiore alle attese.
Non sono mancati negli ultimi anni programmi strategici volti a immaginare il futuro della città, dopo la ricostruzione fisica.
Il più importante è forse quello promosso dall'Ocse con un Rapporto sull'Abruzzo post-terremoto, realizzato da un gruppo internazionale di esperti dopo un'ampia consultazione della comunità locale (Policy Making after Disaster: Helping Régions Become Resilient, Oecd, 2013).
La strategia che ne è emersa si basa sull'integrazione di quattro diverse idee di città, adattate al contesto specifico dell'Aquila: 1) città della conoscenza; 2) intelligente; 3) della creatività; 4) aperta e inclusiva.
il sistema locale di creazione e diffusione delle conoscenze già svolge un ruolo cruciale per la vita economica e sociale.
I soggetti principali, nel campo dell'alta formazione e della ricerca, sono l'Università dell'Aquila, il Gran Sasso Scienze institute (Gssi), scuola di dottorato internazionale nata recentemente proprio per rafforzare tale sistema, e i Laboratori nazionali del Gran Sasso dell'Istituto nazionale di fisica nucleare.
Fin dagli anni Settanta l'Università dell'Aquila ha collaborato con le imprese del territorio, in particolare con quel polo elettronico le cui alterne vicende hanno segnato fortemente la vita della città.
Malgrado il ridimensionamento subito negli anni Ottanta, il comparto dell’ICT-aerospazio resta importante e rappresenta un punto di partenza naturale per le strategie di sviluppo locale.
Negli ultimi anni sono stati inaugurati i nuovi stabilimenti di Thales Alenia Space (telecomunicazioni satellitari) e di Leonardo (avionica).
La società cinese Zte ha annunciato l'apertura di un centro di ricerca nel settore telefonico.
L'Aquila è stata inserita nella rosa di cinque città in cui partirà la sperimentazione della piattaforma di telecomunicazioni 5G, in collegamento con i progetti dell'Ateneo per una rete ottica sperimentale e altre infrastrutture e servizi di comunicazione per la città.
Resta forte la collaborazione con il grande stabilimento di Avezzano della L-Foundry (componentistica elettronica), recentemente acquisito dal gruppo cinese Smic.
Progetti importanti, in cui è impegnata all'Università dell'Aquila, coinvolgono anche altri settori.
Nel campo dei sistemi di trasporto intelligenti verranno presto avviate attività di ricerca sui veicoli connessi, condotte dai gruppi FCA e Ansaldo, in collaborazione con le imprese dell'automotive abruzzese.
I laboratori del Gran Sasso ospiteranno un grande progetto internazionale sulla materia oscura, con importanti applicazioni industriali.
Attività rilevanti si svolgono anche nel polo di innovazione Capitank, a cui partecipano le maggiori imprese farmaceutiche presenti in Abruzzo e le tre Università regionali.
Emerge dunque il quadro di una città della conoscenza in fase di sviluppo, con una rete fitta di rapporti tra i centri di ricerca e formazione e le maggiori imprese ad alta intensità tecnologica.
Intanto procede il tentativo di usare le opportunità della ricostruzione per introdurre innovazioni nelle tecniche di edilizia e restauro, nelle infrastrutture di pubblica utilità e nei servizi che definiscono il paradigma di una «città intelligente».
Anche la vita culturale, malgrado le difficoltà create dai ritardi nella ricostruzione del centro storico, riprende gradualmente vivacità, dando credibilità l'ambizione di fare dell'Aquila una «città della creatività», in cui le istituzioni accademiche collaborino con le associazioni culturali per suscitare o attrarre energie imprenditoriali.
Delle quattro idee guida del Rapporto Ocse, la più rilevante - è la più vulnerabile - è quella della «città aperta e inclusiva».
Negli ultimi non sono mancati i tentativi dei cittadini di partecipare ai processi decisionali sulla ricostruzione sulla ripresa.
Le istituzioni locali hanno espresso l'intenzione e tenerne conto, sperimentando metodi diversi di coinvolgimento.
Il Festival della Partecipazione, che L'Aquila ospita dal 2016, è un'occasione di dibattito nazionale sulle forme e sui contenuti dell'impegno politico dei cittadini.
Tuttavia, non si può dire che sia emerso un meccanismo istituzionale di partecipazione civica paragonabile a quelli nati in altri luoghi colpiti da disastri naturali.
Nel frattempo i problemi e i ritardi di una ricostruzione difficile hanno prodotto frustrazione e sfiducia.
Il cambiamento di clima è emerso clamorosamente nei risultati delle ultime elezioni amministrative.
Anche qui un centrosinistra ormai privo di una chiara identità culturale e politica ha consegnato alla destra le chiavi della città.
È ancora presto per valutare l'operato della nuova amministrazione.
In campagna elettorale le forze politiche che la sostengono hanno, evidentemente, saputo ascoltare meglio di altre le esigenze le paure di molti cittadini.
Tuttavia, hanno proposto ricette semplicistiche («gli aquilani prima di tutto», «all'Aquila è giusto che lavorino le imprese aquilane»), basate sull’idea che le cause principali dei problemi siano esterne al sistema locale.
Il programma del nuovo sindaco intitolato «Agenda per una città accogliente», ma non dedica una sola parola agli immigrati e alle centinaia di operai stranieri invisibili che lavorano nei cantieri della ricostruzione.
La storia dell'Aquila è invece un caso esemplare della relazione positiva tra aperture esterna e progresso economico e sociale.
Già nella sua fondazione questa «città-territorio» rappresentò un fenomeno straordinario di integrazione tra le diverse comunità locali che abitavano nei castelli del circondario.
Le sue fortune, nel Trecento e nel Quattrocento furono costruite da un certo mercantile da un ceto mercantile spesso proveniente da altri territori, capace di connettere le produzioni locali della lana e del prezioso zafferano ai mercati esterni, da Firenze a Napoli e anche più lontano, dopo che il re Roberto D'Angiò ebbe concesso l'esenzione dai dazi doganali su importazioni ed esportazioni.
Dall'esterno veniva anche Adamo de Rotwil, che alla fine del Quattrocento introdusse in città la grande innovazione dell'arte della stampa.
Alla lenta è difficile ripresa dal catastrofico terremoto del 1703 contribuirono in misura significativa «forestieri» attratti dall'economia della ricostruzione, in particolare maestranze lombarde.
Anche oggi i protagonisti principali della nuova «città della conoscenza» hanno un grado elevato di integrazione internazionale.
Questo vale naturalmente per i principali centri di ricerca, ma anche per le maggiori imprese nel territorio - in gran parte partecipate da multinazionali estere - e per diversi soggetti che hanno manifestato interesse a investire della città.
È vero inoltre che le famiglie di immigrati che, anche qui, stanno contribuendo a frenare il declino demografico e a ravvivare la qualità della vita sociale.
Il compito della politica non consiste nel rinchiudere il sistema locale in un recinto identitario.
Quando la ricostruzione sarà finita, la città della conoscenza, intelligente, creativa e inclusiva che potrà emergere sarà necessariamente una città aperta, capace di attrarre e integrare immigrati, studenti, turisti e capitali esteri, valorizzando in questo modo il suo straordinario patrimonio di arte, cultura e lavoro.»
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Giulia Breglia è dottorando di ricerca in Urban Studies and Regional Science al Gran Sasso Science Institute dell’Aquila.

Alessandra Faggian è docente di Scienze sociali presso la Ohio State University e il Gran Sasso Science Institute.

Lello Lapadre è professore associato di Economia politica all'Università dell’Aquila

(Il Mulino 6/2017 «Viaggio in Italia» pagine da 245 a 248)





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