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Calabria: Catanzaro

 

Catanzaro è Comune capoluogo dell'omonima provincia e della regione Calabria.
Secondo comune della regione per popolazione.
Storico capoluogo dell'antica provincia di Calabria Ultra per oltre 200 anni, e
ra anticamente conosciuta, come la Città delle 3 "V", riferite a 3 caratteristiche distintive della città, ovvero: V di San Vitaliano, santo patrono; V di vento, in quanto costantemente battuta da forti brezze provenienti dal Mar Ionio e dalla Sila, tanto da aver ispirato un detto popolare che così recita: "trovare un amico è così raro quanto un dì senza vento a Catanzaro"; V di velluto in quanto importante centro serico fin dai tempi dei Bizantini ("V V V" era la sigla con cui venivano identificati, sui mercati nazionali ed esteri i velluti, i damaschi ed i broccati provenienti dalla città).


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«Racconti di Viaggiatori»
(citazioni da libri)

«L'intiera terra fra i due golfi di mari, il Nepetinico [S. Eufemia] e lo Scilletinico [Squillace], fu ridotta sotto il potere di un uomo buono e saggio, che convinse i vicini, gli uni con le parole, gli altri con la forza.
Questo uomo si chiamò Italo che denominò per primo questa terra Italia. E quando italo si fu impadronito di questa terra dell'istmo, ed aveva molte genti che gli erano sottomesse, subito pretese anche i territori confinanti e pose sotto la sua dominazione molte città.»
(Antioco di SiracusaSull'ItaliaV secolo a.C.)
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«Entrò vittorioso Roberto [il Guiscardo] anno 1055 - si fè giurare homaggio e conoscendo, che il dominio della Calabria dipendeva assolutamente dall'assicurarsi di questa Piazza, sì per esser in sito naturalmente inespugnabile, come per star situata nel centro della Provincia, per dove con facilità si può tramandar a gli altri luoghi soccorso in tempo di guerra, vi fondò un fortissimo Castello in quell'estremo della Città, sopra un masso di scoglio al di fuori tagliato, con torri e bastioni sì bene intesi, che alla fortezza sua naturale congiunti, lo resero sicuri di batteria e di scalate... » 
(Vincenzo D’Amato, 1670)

«Hora godendo Catanzaro una perfettissima quiete diedesi alla coltura delle piante suddette, appellate Celsi, o come altri dicono Mori, e col beneficio dell'acque, che l'irrigavan, crebbero in breve con le foglie poi delle quali comincionsi a nutrir il Verme; indi da gusci del detto a cavar nell'acqua bollente la seta; con la pratica d'alcuni Orienteli nella Città commoranti imparando molti la testura di quella, ne fecero drappi di varie sorti; onde in modo vi si stabilì l'Arte» 
(Vincenzo D’Amato, 1670)

«Fa la città per la sua impresa un’aquila imperiale con la testa rivolta a destra, armata di corona, con le ali e coda sparse, in atto di sollevarsi a volo, nel di cui seno, che forma uno scudo, vi sono tre monti in campo vermiglio, sopra dei quali vi è una corona; tiene l’aquila col becco una fascia, nella quale sta questo motto delineato: “Sanguinis effusione” per dimostrare che col sangue dei suoi cittadini, mai sempre sparso, in servigio della Cattolica Corona, ha quell’aquila meritato, che le concesse la sempre gloriosa memoria dell’imperatore Carlo V per aggiungerla alla sua antica insegna»
(Descrizione più antica dello stemma che si trova nel libro “Memorie historiche dell’illustrissima, famosissima, fedelissima città di Catanzaro” di Vincenzo D’Amato, 1670)


Catanzaro poco narrata forse perché è una città riservata e si svela solo a chi si innamora vivendola.
Così avvenne per lo scrittore e patriota Luigi Settembrini - napoletano trasferìtosi con la moglie dopo aver vinto nel 1835 il concorso per la cattedra di Eloquenza e Greco nel liceo Galluppi di Catanzaro - legato alla città da un particolare rapporto affettivo: «Io le voglio un gran bene a quella città di Catanzaro, e piacevolmente mi ricordo sempre di tante persone che vi ho conosciute piene di cuore e di cortesia, ingegnose, amabili, ospitali. 
La città è sita sovra un monte in mezzo della Calabria: dietro le spalle le van sorgendo altri monti sino alla gran giogaia della Sila, che di verno si vede coperta di neve, e su la neve sorgono nereggianti i pini: dinanzi le sta un vastissimo terreno ondulato di colline che sono sparse di giardini, di orti, di case, di vigne, di oliveti, d’aranceti, e di pascoli dove biancheggiano armenti: e tutto quel terreno si curva in arco sul mare Ionio che tra i capi Rizzuto e Badolato forma il golfo di Squillace. 
Il mare è distante da la città sei miglia, ma ti pare di averlo sotto la mano, e ne odi il fragore: vi si discende per una strada che va lungo un torrente, e quando sei su la riva trovi un villaggio che chiamano la Marina, dove i signori hanno loro casini e la primavera vanno a villeggiare.» 

Così recita l'l’incipit del X capitolo del primo volume delle sue "Ricordanze della mia vita(clicca qui per andare all'articolo dedicato) che Settembrini dedica interamente alla città; e quale miglior sintesi potrebbe disegnare una città
Settembrini racconta la bellezza di una città che già nel 1800 appariva quella che è ancora oggi, unica e affascinante, del suo liceo Galluppi, allora uno dei 4 del Regno d'Italia.
Quell’amabilità che sta nella cortesia, nella signorilità, nel culto dell’ospitalità, nell’attaccamento orgoglioso alle proprie origini, alle antiche tradizioni, proprie ancora oggi del popolo catanzarese e calabrese. 

«... Mentre Cosenza è in fondo valle, Catanzaro è in altura.
Città ariosa, perciò, con magnifica vista sulla Sila e ad sul golfo di Squillace, aperta da ogni lato a un paesaggio diverso, , montano o marino.
E' anche una città di cultura, con un cine-club, conferenze, ed un fiorente circolo di Amici della Musica.
Mi dicono che a Catanzaro si vendono 3.000 copie di giornali e riviste al giorno, ed è una cifra eccezionale per lìItalia del Sud, in rapporto al numero dei suoi abitanti.
Oltre a buone scuole, Catanzaro ha un ottimo riformatorio per i minorenni traviati ...» 

(pagina 675 da "Viaggio in Italia" di Guido Piovene, 1950)

«Mi capita sovente di tornare a Catanzaro, la città dove sono nato, e di osservarla con una duplicità di sguardo.
Quello dell'ex cittadino che vi ha vissuto sino alle soglie della giovinezza, che ha legami sentimentali profondi con i fratelli e le sorelle che vi abitano e con i tanti amici di antica data, con i luoghi dove ha giocato bambino, e insieme lo sguardo dello è dello studioso che non ha mai smesso di osservare le trasformazioni che la città ha subito nel corso del tempo. 
Metamorfosi che tento ancora di interpretare ogni volta che vi faccio ritorno.
Città medio-piccola (conta circa 90.000 abitanti, che diventano 360.000 dell'intera provincia), il capoluogo della Calabria riflette con fedeltà quasi assoluta, ma in forme estreme e perfino grottesche, le vicende e le trasformazioni che investono l'intera società Nazionale.
Se ne potrebbe tentare una rapida scansione storica.
Negli anni ‘60 la città rappresentava forse il centro politicamente e intellettualmente più vivace della Calabria.
La lotta politica anche radicale che investiva allora l'Italia intera trovava a Catanzaro equivalenti di un certo rilievo: merito soprattutto di un Partito Comunista ben strutturato e attivo, i cui quadri dirigenti si erano per lo più formati nelle lotte contadine del dopoguerra.
C'erano poi una DC molto popolare, anche se priva di leader significativi, un piccolo Partito Socialista, gruppi vivaci di giovani cattolici e giovani comunisti resi ancor più combattivi dal passaggio vivificante del ‘68.
Al fenomeno giovanile di quegli anni diede anche un contributo straordinario, per tanti versi difficile da decifrare nella sua apparente casualità, la presenza del liceo classico Galluppi.
Una vecchia istituzione destinata alla formazione della élite cittadina che in quegli anni vide uscire dai suoi banchi un numero sorprendente di figure intellettuali, alcune delle quali destinate a fama nazionale e internazionale, ma che in più gran numero, anche se con minore notorietà, sarebbero andate a infoltire le schiere della docenza in varie università d'Italia.
Il fermento intellettuale e politico, che si consolidò nel decennio successivo con un maggiore protagonismo dei partiti politici, con la nascita della Regione e il decentramento amministrativo che ne conseguì, mascherò tuttavia una sotterranea tendenza economica e strutturale che si sarebbe rivelata fatale per Catanzaro e per gran parte della regione.
La città, un centro amministrativo che vantava l'insediamento di una Corte d'Appello, e quindi la presenza di un folto ceto forense, e vari uffici pubblici legati al suo ruolo di capoluogo di provincia, cui si aggiungeva quello di regione (Catasto, Ufficio delle Entrate, Provincia, Prefettura, Camera di Commercio, Assessorati Regionali, ecc.), era andata crescendo sui trasferimenti ordinari dello Stato, cui si aggiungevano quelli dell'intervento straordinario della Cassa del Mezzogiorno.
Ma nessuna nuova economia si era nel frattempo formata, anzi si era ridotta e comunque si erano sempre più svalutate l'economia del piccolo artigianato e soprattutto quella agricola dei suoi dintorni, che a lungo aveva costituito un supporto all'autoconsumo e al piccolo commercio.
E giova ricordare che Catanzaro ancora oggi è un comune agricolo significativo, soprattutto per la presenza diffusa di uliveti.
La quasi unica forma di intrapresa che invece non aveva conosciuto flessioni era la solita, vecchia, sicura, edilizia. Costruire case è stata per decenni l'unica vera passione dell'imprenditoria cittadina e della sua provincia: un'industria con pochissimi rischi, grazie alla fame di case di quei decenni, all'abbondante presenza di manodopera a basso costo, al tipo di impresa realizzabile con scarsi investimenti e nessun bisogno di innovazione tecnologica, in grado di sfruttare a prezzi di favore politico la materia prima allora abbondante: il territorio.
Sennonché, questo corso economico che ha investito allora pressoché tutte le città italiane, a Catanzaro ha assunto forme paradossali e alla lunga disastrose per il destino della città.
I nuovi edifici, le famose palazzine che rappresentavano le nuove forme di edificazione residenziale di allora, non si espansero verso Sud, come sarebbe stato logico e necessario: vale a dire verso la valle della Fiumarella e del Corace e dunque verso la pianura e verso il mare.
Così è accaduto per quasi tutti gli antichi centri interni, più o meno arroccati e bisognosi di nuovi spazi.
Catanzaro si è espansa invece in direzione contraria, anziché verso il mare si è mossa verso la montagna, ha occupato nuovi spazi a Nord, sulle colline impervie dove alcuni maggiorenti possedevano terreni di scarso pregio agricolo da valorizzare.
Si è creata così una ulteriore via di traffico che attraversa la città verso Nord negli spazi angusti delle Colline.
Tale tendenza è stata in parte corretta negli anni successivi, ad esempio con la nascita di un aggregato residenziale a Corvo, una piccola valle tra la città e il suo Lido.
Ma essa è stata nel frattempo accompagnata da un processo di edificazione selvaggia, sia a Est che a Ovest, con la disseminazione di palazzi su tutte le pendici intorno ai colli su cui è storicamente sorta la città.
Una proliferazione caotica di edifici anche su crinali e dirupi, purché raggiungibili, che sarebbe errato definire a macchia d'olio. L'olio si espande con una sua rotondità e contorni netti.
Qui siamo in presenza di uno sprawl (distendersi), un accampamento casuale di case.
Un tempo Francois Lenormant, storico della Magna Grecia, definiva Catanzaro una "città vertiginosa", un nido d'aquile  circondato da dirupi digradanti verso il mare Ionio.
Oggi quei dirupi sono gremiti di edifici simili a capre al pascolo. Rispecchiano con avvilente fedeltà l'immagine di una classe dirigente cittadina il cui connotato progettuale più saliente è il disordinato e misero appetito predatorio del suo territorio e del suo paesaggio.
Forse gli anni peggiori di dissennatezza sono stati quelli del decennio Ottanta: la fase della riscoperta del “privato”, dell'”edonismo reaganiano”, del nuovo corso del Partito Socialista guidato da Craxi.
Tornavo anche allora spesso a Catanzaro e vi scorgevo non solo nuove violenze sul territorio ma un mutamento antropologico palpabile e per tanti aspetti sconvolgente.
La comunità cittadina di un tempo, quella dello struscio serale sul corso, dei tanti caffè del centro storico, delle chiassose comunità studentesche, dei circoli culturali, si era come dissolta.
La sera un silenzio da coprifuoco si estendeva per strade e piazze. Le famiglie erano state risucchiate nelle loro case davanti a un televisore.
I cinema erano stati tutti chiusi, tranne il Masciari, un bellissimo locale Liberty dei primi del 900, che proiettava solo film a luci rosse.
La città è riemersa molto lentamente da questo tracollo civile e culturale.
L’Imes, l'Istituto Meridionale di Storia e Scienze Sociali che teneva i suoi convegni nei pressi della città, con studiosi italiani e stranieri di varie discipline, già sul finire del decennio trasferiva in forme di dialogo didattico le proprie ricerche tra gli insegnanti dei licei cittadini. Nascevano circoli culturali, il Masciari grazie all'iniziativa di un gruppo di giovani riprendeva la cinematografia di qualità, la città conosceva un po' di vita economica ma quasi esclusivamente per l'espansione degli esercizi commerciali.
Non si spezzava lo schema antico di una domanda alimentata dai trasferimenti pubblici, che sosteneva un consumismo crescente, surrogato illusorio di una modernizzazione fondata su una mera redistribuzione amministrativa di ricchezza.
Così nel nuovo millennio la città ha conosciuto una nuova pagina di vivacità culturale e civile e perfino urbanistica.
Grazie ai programmi europei “Urban” il comune ha realizzato un'ampia opera di rifacimento del decoro urbano, con un apprezzabile ristrutturazione del corso principale, intitolato a Mazzini, e di alcuni quartieri del centro storico, come il rione di Sant'Angelo.
Purtroppo si tratta di un'opera oggi deturpata dal traffico, e dalle auto parcheggiate perfino sui marciapiedi, perché le amministrazioni sono incapaci di conservare 105 metri di isola pedonale.
Catanzaro è infatti forse l'unico centro urbano d'Italia privo di un'area esclusa al traffico.
in quegli anni di trasformazione dell'antico carcere di San Giovanni, diventato un elegante presidio culturale nel cuore della città, ha dato impulso a importanti mostre e a iniziative culturali di rilievo.
Nel frattempo, il progetto Gutenberg, un festival del libro avviato all'interno del liceo Galluppi da Armando Vitale, un ex alunno degli anni Sessanta, è diventato un evento culturale che investe la città per diversi periodi dell'anno e ora anche l'intera regione. Ma si tratta di una vivacità culturale, proveniente dal mondo della scuola e di poche professioni, che al fondo maschera assetti strutturali immodificati e per tanti versi peggiorati.
Negli ultimi anni l’iniziativa economica dei gruppi dirigenti cittadini si è indirizzata verso la costruzione di centri commerciali ovunque il territorio lo consentiva.
Poli commerciali enormi che hanno messo in crisi il piccolo commercio del centro storico e che generano crescente traffico automobilistico.
Nel frattempo a Germaneto, nella periferia Ovest, sono state trasferite alcune facoltà universitarie prima disseminate nel centro.
Una espansione urbanistica degli ultimi decenni che ha sconvolto il paesaggio agricolo di una vasta area.
La città si dilata su un più vasto territorio senza un disegno visibile, mentre il centro storico si va svuotando.
Di recente in questa area è stata terminata la sede della Regione, un edificio gigantesco, che fa impallidire per la solennità il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite.
A osservarlo, pensando alle prove che hanno dato i governi regionali degli ultimi quarant’anni, si rimane senza parole.
Per quali meriti una così imponente autocelebrazione?
Non saprei come interpretarla, visto il bilancio politico che oggi si può trarre, se non come monumento alla capacità dei gruppi dominanti calabresi di distruggere il proprio territorio.»
Autore: Piero Bevilacqua, già professore ordinario di Storia contemporanea, ha fondato l'Istituto Meridionale di Storia e Scienze Sociali (Imes), di cui è presidente.

(da “Viaggio in Italia” Racconto di un paese difficile e bellissimo - numero monografico Rivista il Mulino n° 6/2017 - pagine 83 a 90)




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