Post in evidenza

Maledetti Toscani

Parlando sempre in prima persona, Curzio Malaparte ricostruisce quelle che ritiene le principali caratteristiche dei toscani e in particolare dei suoi concittadini, i pratesi.

Unendo episodi della propria giovinezza a esempi del passato, soprattutto medievali, e alla descrizione dei più bei paesaggi della sua regione, Malaparte identifica il toscano come l'antitesi dell'Italiano definendolo in primo luogo "spregioso" (che prova cioè disprezzo nei confronti di tutti gli altri esseri umani, che vede come stupidi e servili), per poi identificarlo come sboccato, cinico, ironico, insofferente nei confronti di tutte le autorità costituite (anche e soprattutto la Chiesa cattolica), sanguigno, onesto, realista, pratico, pragmatico, lavoratore (traffichino) ma soprattutto intelligente e per questo libero, persino dalla paura della morte.

Identificando poi il popolo toscano come degno erede di quello greco, Malaparte indica come caratteristica fondamentale del toscano un senso della misura che si rispecchia anche nei più grandi nomi della cultura nati in Toscana (Dante, Brunelleschi, Botticelli, Boccaccio su tutti, mentre di Michelangelo critica il "passaggio" ai modi romani).

Perché, di fronte a un toscano, tutti si sentono a disagio? 

Risposta ovvia, per Malaparte: di gran lunga più intelligente degli altri italiani, e libero - la libertà dipende dall'intelligenza, il toscano è spregioso, disprezza tutti gli esseri umani per la loro stupidità. 

Per di più è sboccato, insolente, crudele, fazioso, cinico e ironico. 

Possiede in compenso una greca virtù: il senso della misura, il sentimento della meravigliosa armonia che regge i rapporti fra le cose terrene e le divine (basti pensare alla Divina Commedia, dove il Paradiso sembra un angolo di Toscana). 

E il più toscano dei toscani, un toscano - diciamo così - allo stato di grazia, è il pratese: becero, certo, visto che non ha paura di parlare come pensa, e rabbioso, rissoso, riottoso, nemico d'ogni autorità, d'ogni titolo e d'ogni prosopopea. 

È a Prato, del resto, che in mucchi di cenci polverosi «tutto viene a finire: la gloria, l'onore, la pietà, la superbia, la vanità del mondo». 

Concepito come un arioso, amoroso, sfrontato Baedeker, sorretto da una lingua di scintillante nitore, Maledetti toscani ci guida attraverso i paesaggi, i popoli, le città, la letteratura della Toscana, mimetizzando sapientemente la violenza del pamphlet: giacché a ben vedere è anche un ritratto en creux degli italiani, che, vili, pavidi e cortigiani, della verità hanno paura, sognano privilegi e invidiano abusi e prepotenze, non sanno essere liberi e giusti ma solo servi o padroni. 

E dovrebbero imparare dai toscani a «sputare in bocca ai potenti».

Tutte queste caratteristiche sono il motivo per cui, secondo l'autore, ogni altro italiano (ad eccezione degli umbri) si trova in difficoltà se non proprio in imbarazzo davanti a un toscano, che con il suo solo sguardo ironico è capace di dichiarare tutto il suo disprezzo; per tale ragione l'autore afferma che "maggior fortuna sarebbe se in Italia ci fossero più toscani e meno italiani".

Piccola Biblioteca Adelphi

2017, 8ª edizione

pagine 220

Prezzo € 13

Commenti